Le mie compagne mi raccontano di sé o di altre storie. Dal buio dell’umiliazione non emerge mai una vicenda completa: il silenzio è anche un modo per proteggersi, salvaguardare la propria dignità rispetto all’annullamento della persona che il carcere, sistematicamente, persegue.
La perquisizione corporale che mi hanno fatto all’ingresso, pur così umiliante, è “ all’acqua di rose”, c’è chi ha subito di peggio: l’ispezione anale, consueta, ma particolarmente umiliane per chi è sospettato di avere in pancia ovuli di droga.
Mi si raccontano di una ragazza che, dall’Africa, ha girato l’Europa, poverissima corriera di ovuli di cocaina per i party dei ricchi intoccabili. Ha lasciato a casa la madre e le sorelle: a loro provvede lei, con quella pancia piena di ovuli… Arrestata, è sola: avvocato d’ufficio, scomparsi e sicuri nella loro impunità i ricchi sfruttatori. Le resta il carcere, la magra consolazione dei canti ad un dio disattento, qualche mese da inserviente scopina, la tenacia di tenersi pulita tra muri che trasudano sporcizia. I quattro soldi che ricava dai lavoretti carcerari (pochi, sfruttati, ma molto ambiti da chi non ha niente), detratte le spese , mensilmente conteggiate, per il mantenimento in carcere, li manda alla famiglia, in qualche villaggio africano, di cui, a volte, racconta. Un suo sorriso gioioso a chi ha scelto come “zia”, un suo festoso saluto nei momenti bui sono un regalo impagabile….Bisogna resistere e raccontare.