Tullio.

Tullio (1)Tullio. Se ne è andato di notte, al termine di una sofferenza vissuta con la coraggiosa semplicità e la dignità di sempre: a lui si addicono le parole che Guccini dedica all’emigrante Amerigo: “…non era il tipo d’uomo che si perde in nostalgie di ricchi; è andò per la sua strada senza sforzo”.

Tullio fu emigrante, da bambino, in Argentina; poi tornò in Italia e continuò il viaggio dalla Liguria a Torino alla Valle di Susa, a Meana, dove fu carissimo amico di Raul e di altri compagni che ci hanno lasciati..

A Bussoleno, si trasferì nei primi anni ottanta: da allora, con un caffè preso insieme al bar di Pietro in via Fontan, ebbe inizio la nostra lunga amicizia e l’impegno comune.

Tullio, Ileana, Luca piccolissimo, Sara neonata; la nascita del centro Meyer-Vighetti, la scuola di italiano per lavoratori migranti, la militanza al circolo di Rifondazione Comunista di Bussoleno, gli albori della lotta contro il TAV che vide Tullio sempre presente, con la sua consapevolezza di operaio e comunista, nemico delle falsità e dei compromessi, irriducibile contro gli sfruttatori ed i prepotenti almeno quanto era dolce e buono con i deboli e gli sfruttati.

I ricordi premono, troppi per narrarli tutti.

Tullio in prima fila a reggere con fierezza lo striscione del Comitato di lotta popolare nella prima manifestazione NO TAV del 2000

Tullio arrivato in Ape davanti alla caserma dei carabinieri di Susa, dove avevano portato Luca accusato di scritte NO TAV.

Tullio ai presidi con sole, vento, pioggia, neve nell’indimenticabile 2005.

Tullio che partecipa ai cori della libera repubblica della Maddalena e lancia contro i poliziotti in assetto antisommossa lo slogan che gli fu sempre caro “El pueblo unido jamàs serà vencido, el pueblo armado jamàs serà matado!”

Tullio che cerca di riparare i ragazzi rifugiatisi nel bar del Vernetto, la notte del 29 febbraio 2012 e per questo viene malmenato dai poliziotti che hanno fatto irruzione nel locale.

Tullio : non lo vedremo più arrivare in Credenza con Arol, adottato in canile, che dopo vari abbandoni aveva trovato da lui casa e affetto. Ora e per sempre ci mancherà il quarto giocatore delle partite di scopone che si protraevano interminabili, senza poste in denaro, per il solo piacere del gioco e dell’intelligenza.

Tullio che, già in ospedale, deve compilare un questionario-anamnesi e ripercorre così la sua vita professionale. “Metti operaio generico vulcanizzatore”: sono i lunghi anni alla fabbrica dell’amianto, la Permafuse. “ Tutti lavori indecenti, tranne forse l’ultimo periodo come badante alla casa di riposo…”.

Nei suoi ultimi giorni d’ospedale fa ancora “il badante” Tullio, per un suo vicino di letto, ultranovantenne, solo.

Tullio che, dopo il blocco degli espropri al Terzo Valico, mi chiede di raccontargli la giornata e gli si accende lo sguardo, riacquista allegria.

Tullio che ieri ha salutato per l’ultima volta, sorridente, a pugno chiuso, i ragazzi che gli parlavano della Clarea, della terra che tornerà bella e libera, della lotta che non si fermerà, mai.

La bandiera NO TAV l’ha voluta portare con sé, segno di un impegno fedele, irriducibile, che va oltre la morte.

Dalla parte della Cavallerizza Occupata.

cavallerizza-2002-khd-U10301332104447rWB-428x240@LaStampa.itLa Cavallerizza: un laboratorio culturale, politico, sociale nel cuore di Torino, un luogo di rapporti umani a cui è bello approdare contro la speculazione edilizia, l’egoismo degli indifferenti  e la disperazione delle solitudini.

Sotto il suo lungo porticato abbiamo sostato anche noi, per parlare della lotta contro il TAV  e – in un giorno di pioggia torrenziale, al termine di un corteo esiguo ma combattivo – per ribadire la vicinanza attiva al popolo palestinese, alle vittime del capitalismo sionista nella Striscia di Gaza.

La Cavallerizza è anche il fascino del suo giardino  dove vivono alberi secolari, un’oasi di silenzio e di bellezza nel cuore di pietra di una città sempre più avvelenata dal degrado.

Chi ha appiccato  il fuoco alla Cavallerizza,  vuole uccidere il mondo fraterno, colto e gentile che in questi intensi mesi di occupazione ha cominciato a vivere, ad operare, a costruire una concreta speranza collettiva.

Contro i grandi interessi e le grandi viltà, resistiamo, difendiamo la Cavallerizza!

Presenze

camoscioBoschi, piccole radure fiorite, cieli che hanno già la luce dell’autunno; il silenzio percorso dal vento di questa mattina di fine agosto.

I monti, intorno, si ergono amici: i Quattro Denti a Nord-Ovest, a Nord-Est il Rocciamelone; all’orizzonte, lungo la via di Francia, emerge lo Chaberton.

Tutto è pace e bellezza.

L’anomalia sta lì sotto, in quel catino trasformato a cantiere, in quella lebbra che ha mangiato i boschi e ha mutato i prati in depositi di cemento dove pesano ruspe, trivelle, blindati, container, vasche di decantazione, nastri trasportatori, carrelli su rotaie, capannoni, dormitori, edifici mensa, garitte, blindati, lince, idranti, pulmini, furgoni, centine, cumuli di smarino della galleria, camminamenti su cui si intravede qualche sparuta figura in grigioverde.

I muri che circondano il cantiere, da quest’altezza, sono linee sbiadite, mentre domina il viadotto autostradale, da cui il rumore delle auto giunge attutito ma costante, una fastidiosa nota di fondo, che però nulla può contro la voce del vento.

Qui, intorno a me, la natura è potente; con i suoi calanchi parla dei millenni, della forza dell’acqua che scava la pietra, incide strapiombi e dà vita a piante ed animali.

Davvero risibile è la superbia di quel cantiere là in basso che il franare di queste pareti instabili o la forza del torrente inferocito può travolgere e cancellare in un attimo.

A guardare il cantiere dall’alto non sono sola: poco lontano, tra i calanchi, sufficientemente contro vento per non avvertire la mia presenza, sta un piccolo camoscio: ne vedo distintamente il manto fulvo, la mascherina intorno agli occhi, il musetto arguto. Sosta brevemente, poi si avvia lungo una traccia, scompare nella macchia, riappare su un sabbione. Prima di sparire definitivamente tra le rocce , si volta per un attimo nella mia direzione. E’ quell’immagine che mi porto appresso, sulla via del ritorno.

25colchicoAi margini di una radura trovo i primi colchici bianchi e lilla: davvero l’autunno non è lontano.