Vivere il carcere

Vivere il carcere, anche se solo per breve tempo, ti fa conoscere appieno la crudeltà, la violenza di quella che chiamano giustizia ma che è vendetta di stato. Il sovraffollamento,il cibo scarso e cattivo, la fatiscenza dei locali, l’arbitrarietà delle regole, il deragliamento del tempo e dello spazio, non sono una disfunzione del sistema, sono il sistema, un sistema che usa muri, sbarre, prepotenza quotidiana per ridurre all’obbedienza , all’accettazione acritica dell’ingiustizia di sempre
Abolire il carcere non è un’utopia irrealizzabile, ma l’unica risposta davvero efficace per la costruzione di un mondo più giusto e vivibile. Dietro le sbarre ho trovato poveri e ribelli, gli scheletri nell’armadio di una società che usa la repressione contro chi chiede pane e giustizia sociale.
La situazione, già di per sé invivibile, diventa più intollerabile che mai in questi tempi di pandemia, in cui è negato anche il contatto minimo con il mondo esterno: niente più colloqui con le persone care, niente più pacchi ad integrare il vitto carcerario, negata la mobilità anche all’ interno del carcere, silenziata ogni notizia sulle reali condizioni del luogo di reclusione. La malattia e la morte te la senti venire addosso senza poter fuggire, come una fatalità ineluttabile.
Le richieste di amnistia e di indulto portate avanti nelle carceri sono sistematicamente represse: non dimenticherò i blindati nei cortili, l’aumentata sorveglianza nelle sezioni, le ronde sulle mura e sui tetti, l’elicottero che ronzava tutta la notte sugli edifici anche al carcere delle Vallette, per impedire le proteste che costarono morti tra i detenuti di altre carceri italiane.
In questo momento una militante del Movimento NO TAV, Dana, è rinchiusa a Torino, nella stessa sezione dove fui reclusa qualche mese fa, con la stessa imputazione. Il mio pensiero va a lei ed a tutte le sorelle con le quali ho condiviso tre mesi di non-vita.
L’esperienza di quei giorni resta e resterà per sempre una ferita aperta, la rabbia di ricordare, l’esigenza di lottare per la liberazione di tutte e tutti.
Un grande abbraccio a voi ed a chi non si arrende.

Cara Dana

non posso essere con la famiglia NO TAV che oggi è venuta fin sotto le mura del carcere per portarti l’affetto della Valle che resiste, ma voglio che ti giunga il mio abbraccio, almeno di lontano.
Ti immagino ristretta in quegli stessi non-luoghi che qualche tempo fa ho sperimentato anch’io, a vivere giorni e notti che non passano mai.
Ma so che, come sempre, lo farai a testa alta, come chi sa di essere dalla parte giusta.
Care sorelle detenute, vi affido questa nostra figlia: sono sicura che le darete tutto l’affetto e l’aiuto che avete dato a me.
Penso con rabbia e dolore ai vostri piccoli figli, ristretti con voi; alle tante persone malate per le quali il carcere è doppiamente punitivo.
Dobbiamo abbatterlo, questo sistema crudele e vendicativo, del quale questure, tribunali e carceri sono arma di repressione e controllo sociale, la risposta alla povertà e alle lotte.
Verrà giorno in cui per tutte e tutti ci sarà un mondo libero, fraterno e bello, nel quale ognuno darà secondo le proprie possibilità e riceverà secondo i propri bisogni
Un mondo che dobbiamo costruire, a partire dai luoghi più bui, dove non si sopravvive senza la reciproca solidarietà. Una solidarietà che ho trovato, grande, tra di voi.
Un abbraccio, Dana, care compagne e compagni detenuti.
Vi vogliamo tutte e tutti liberi, subito.
Nicoletta

Non bastano le parole ad esprimere la rabbia…

Non bastano le parole ad esprimere la rabbia, la frustrazione dell’essere forzatamente rinchiusi nel momento in cui si vorrebbe essere per le strade a gridare a gran voce che è scaduto il tempo della sopportazione.
I ladri di libertà ed umanità sono venuti all’alba a prendersi Dana. Centinaia di armati in assetto antisommossa, blindati e blocchi stradali per portarsi via, verso due lunghi anni di carcere, una ragazza dolce e generosa.
Intanto altre divise si erano spinte ad una casetta tra i boschi per mettere in esecuzione gli arresti domiciliari a Stefano, compagno di sempre.
Ancora una volta il tribunale e la Procura di Torino, più che mai parte delle lobby del malaffare, mettono in atto l’ingiustizia e la vendetta di sempre ai danni di un movimento che da decenni lotta non solo contro un treno ad alta velocità, ma contro un modello di vita che crea devastazione sociale culturale e ambientale,  malattia, morte.
Penso a Dana rinchiusa in quei cubicoli che per qualche tempo ho provato. Forse si affaccerà alla finestrella oscurata da sbarre e fitte reti, per vedere se il cielo esiste ancora, per cominciare ad orientarsi nel labirinto che l’ha inghiottita.
Conosco la sua tranquilla determinazione, ma so anche il tuffo al cuore che si prova quando, dietro di te, vengono chiusi i cancelli e sei scortato lungo i corridoi, tra due file di celle, verso quello che sarà il non luogo della tua prossima non vita.
Mi aggrappo alla certezza che lei saprà cogliere la presenza delle tante vite umiliate e offese, l’umanità di chi, prigioniera come te, ti regala il suo niente, che è il vero antidoto all’orrore del carcere.
E poi ci saranno le lettere, l’affetto della famiglia di vita e di lotta e soprattutto la consapevolezza di star pagando per una causa bella e giusta.
Quanto al potere invidioso e vendicativo, sappia che è vicino  il giorno della resa dei conti, in cui non ci saranno ordigni di guerra, né tribunali, né fascismi capaci di resistere alla bomba ad orologeria che è il cuore di chi lotta per  vendicare il passato e rendere possibile il futuro.
Un abbraccio, Dana. Ti voglio bene.