Miti carnefici

chiavennaNella Primavera hitleriana di Montale, mentre la natura reagisce col gelo alla guerra che verrà, i “miti carnefici”, partecipano a loro modo all’ubriacatura propagandistica esibendo vetrine

povere e inoffensive, benché armate anch’esse di cannoni e giocattoli di guerra” e il beccaio “infiora di bacche il muso dei capretti uccisi”; e “più nessuno è incolpevole”.

Mi tornano in mente queste immagini, mentre ascolto la scrittrice Lorenza Ghinelli leggere, dal suo ultimo libro, la descrizione impietosa e lucida di un mattatoio industriale, luogo di tortura per le vittime e di abbrutimento per i macellatori, dal quale non può uscire se non degrado morale e malattia materiale.

Sofferenza, devastazione, rapina di risorse e di bellezza: unica è la radice dello sfruttamento dell’uomo e della natura, identica la necessità di opporvisi.

Ripenso ad una lettera di Rosa Luxemburg dal carcere:

«Proprio ieri ho letto qualcosa sulle cause della diminuzione degli uccelli canori in Germania: sono la crescente coltura razionale delle foreste e dei giardini e l’agricoltura che man mano distruggono tutte le loro condizioni naturali di nidificazione e alimentazione: alberi cavi, terreni incolti, sterpaglia, foglie secche sul terreno dei giardini. Mi ha fatto tanto male, quando l’ho letto. Non è tanto il canto per gli uomini che mi interessa, ma è l’immagine del silenzioso, inarrestabile declino di queste piccole creature che mi addolora fino alle lacrime Mi richiama alla mente un libro sul declino dei pellerossa nell’America del nord, che lessi quando ero a Zurigo: anch’essi furono man mano scacciati dal loro territorio dagli uomini civili e condannati ad un silenzioso, crudele declino»

Quella di cui Rosa parla è la “civiltà del capitale” , la stessa che ha distrutto i saperi e le professionalità, riducendo le abilità umane a merce vile da spremere e da gettare quando non servono più.

Quella che cementifica monti e pianure per costruire il TAV e, per celebrare con Expo il futuro dell’alimentazione, desertifica migliaia di ettari di terra buona e bella, vanificando ogni progetto di agricoltura sostenibile.

Quella che ha sostituito il mondo pastorale con le fabbriche-lager degli animali, tramutato le aie in allevamenti di polli in batteria, trasformato l’agricultura di sostentamento, dolce e diffusa, in monocoltura industriale, sottratta alle popolazioni e regalata al dominio delle multinazionali.

La follia che distrugge campagne e produce autostrade su cui far correre merci da lontano a lontano, sovvertendo il ritmo della vita e delle stagioni. Corridoi di prodotti agricoli fuori luogo e fuori tempo, piste insanguinate di carri bestiame, dai quali ti guardano muti gli animali portati ai macelli: li ritroverai, incellofanati e irriconoscibili, sui banchi dei supermarket (tramontati i negozietti di vicinato, sono questi i nuovi templi del consumo); e di quella mostruosità ti ciberai…fino a quando?