Vento caldo oggi in Valle, raffiche che agitano i rami dei grandi cedri, le braccia nude dei tigli.
E’ come se il mondo fosse all’erta, in una dimensione che non conosce ore né stagioni, in questo gennaio che potrebbe essere aprile o settembre, carico di un’inquietudine che si propaga agli animali e alle cose.
Ma forse è solo lo sdoppiamento tutto mio tra la quotidianità ritrovata e la precarietà degli ultimi mesi, l’abitudine acquisita di procedere alla giornata, inventandosi le ore e gli incontri .
E’ come se il filo delle parole legasse un passato che mi appare favoloso ad un futuro di inquieta immobilità.
Sono tornata tra i miei libri, le fotografie e gli oggetti di un tempo ormai pesante d’anni e di esperienze…
Quanta polvere accumulata in questi mesi! Non ho mai avuto il feticcio della casa perfetta, ma mettermi a riordinare mi dà tranquillità, il senso vero del ritorno.
Mi perdo così tra volumi e ricordi, ripercorrendo la storia della mia formazione umana e politica: è un contatto fisico con quelle vecchie copertine, quelle pagine ingiallite che ancora mi comunicano la gioia della scoperta, la sete inesausta di conoscere.
Ecco, alle pareti, le incisioni di Carlo Levi con i volti di contadini scabri e nodosi come gli ulivi che fanno loro da sfondo; ecco gli alberi caduti della Clarea in un emozionante disegno di Piero Gilardi; e le betulle di Mesini, rinate sull’antica ceppaia di un bosco che non esiste più.
Ma a commuovermi, come sempre, è una china di Blanc, l’ “angelo con gatto”. Vi è rappresentato un giovane viandante, forse un messaggero venuto da lontano che siede pensoso ai margini di un sentiero, il vincastro tra le mani, per ali una cascata di foglie che sembrano scarmigliate dal vento. Dalla finestra di una casupola lo osserva un volto di fanciulla; ai suoi piedi siede un gatto tigrato dai grandi occhi enigmatici. L’angelo sembra stanco, smarrito: probabilmente ha perso la strada o dimenticato il messaggio, o non ha trovato il destinatario; oppure è stato scacciato dall’indifferenza di animi immobili e si è rifugiato ai confini del mondo. Ma forse ciò che lo assilla è la tentazione del non ritorno alla gelida eternità del paradiso, la voglia improvvisa di condividere la caduca bellezza, la fragile, mortale esperienza di quei luoghi e di quelle vite. La giovane donna lo guarda come sospesa; il gatto ha lo sguardo protettivo e profetico di chi sa e prevede.
Acciambellato sulla scrivania, sta il mio gattino Tito (da quando sono tornata, non mi abbandona mai) e mi fissa, con quello stesso sguardo, capace di leggere nel profondo, di comprendere e di vedere lontano.