Oggi è tornato il sole.
E’ mattina. In sezione tutto è silenzio. Qualcuna delle detenute è scesa all’aria, altre si sono rimesse a dormire “nella speranza- mi dicono- di annullare per qualche ora il tempo qui dentro”.
Sono rimasta in cella a leggere, il mio modo di anestetizzare il peso delle catene ed evadere verso altri climi ed altri cieli.
Mentre leggo di Rosa che, dal carcere di Wronke, rivive nel ricordo le passeggiate tra i campi dorati del Sudende, sento oltre i vetri un breve battito d’ali: è un passero volato sul davanzale.
Apro la finestra per sbriciolargli un po’ di pane, molliche infilate ad una ad una tra le maglie della fitta rete.
Dopo qualche esitazione il piccolo messaggero torna; ora va e viene, con lunghi voli, dalla mia finestra ad un albero che intravedo al di là del cortile.
E’ un breve volo il suo, ma carico di possibilità, come di chi è libero di muoversi entro l’orizzonte, per quanto angusto, della propria vita.
Va, viene, a tratti cinguetta, scocca verso di me, che lo osservo da dietro le sbarre, la freccia arguta del suo sguardo, accettando l’umile dono delle mie mani e regalandomi in cambio un saluto che nessun guardiano, nessuna porta blindata potrà impedire.
Sulle ali di quel volo il mio pensiero corre, per contrasto, ai grandi cedri di casa mia, fra i cui rami trovano cibo e protezione, oltre ai passeri, cince, scriccioli, pettirossi….
Riprendo a leggere: “ Rimanere un essere umano è la cosa principale. E questo vuol dire rimanere chiari e sereni, sì sereni malgrado tutto, perché lagnarsi è segno di debolezza. Rimanere umani significa gettare con gioia la propria vita” sulla grande bilancia del destino”, quando è necessario farlo, ma nel contempo gioire di ogni giorno di sole e di ogni bella nuvola.”
Come un messaggio nella bottiglia approdato a questa cella da indicibili lontananze.
L’amore e la lotta hanno una voce antica e sempre nuova, sanno intessere legami che vincono il tempo, capaci di rivivere oltre la sconfitta, più forti della morte.