Oggi è per me la prima giornata di colloqui. Mi hanno avvertita all’ultimo momento che devo prepararmi.
Mi prende un po’ di angoscia: è opportuno che mi presenti al meglio per non dare preoccupazioni a chi ho lasciato fuori dalle mura. Non ho un filo di rossetto da mettermi (lo stick che mi ero portata giace al casellario, come la boccetta di profumo che mi seguiva da Atene, con la sua fragranza speziata). Certo, dopo una settimana di di digiuno forzato per l’immangiabile sbobba del carcere, la mia linea sarà perfetta.
Aspetto chiusa in cella. Il tempo, senza orologio, non passa mai….. Nessuno viene a prelevarmi. Ma sarà vero che c’è qualcuno per me?
Finalmente arriva la secondina. Sferragliare di chiavi che aprono il cancello. Percorro il corridoio accompagnata dagli sguardi delle altre rinchiuse.
Al piano terra c’è un gruppetto di donne pronte per il colloquio, provenienti da sezioni diverse.
Noto che tutte hanno un sacchetto o una borsa di tela da cui spunta il collo di una bottiglietta. Alcune discorrono sottovoce tra di loro, in un piemontese particolare, una specie di esperanto regionale che sa di terra e di vigna , di risaie e di frutteti: è l’idioma antico comune a chi si muove, stagione dopo stagione, dietro al lavoro e sedimenta un linguaggio fatto di luoghi e di epoche diverse. Sono le donne della comunità sinta,, legate tra di loro da vincoli atavici di parentela, sparse in tutte le sezioni. In quel loro discorrere fitto si coglie, insieme alla gioia di ritrovarsi, il bisogno di riaffermare un’appartenenza, i segni bistrattati di radici comuni, mai dimenticate.
Finalmente ci muoviamo.
Si riapre la porta del blocco femminile da cui sono entrata, un secolo fa…..Cortile,…padiglione colloqui…noi in fila indiana dietro la secondina , porte aperte e richiuse alle nostre spalle, dedalo di corridoi….
Arriviamo in zona colloqui. Ennesimo controllo.Tutte hanno la prenotazione scritta tranne me….mi prende la paura del vuoto….No, è il primo colloquio, basta richiesta telefonica da parte del parente consentito e quel parente mi sta aspettando….
Ma non è ancora finita: anche i visitatori devono essere controllati,attraverso il passaggio al metaldetector insieme ai pacchi che vogliono fare entrare,,,,
Dunque ulteriore attesa, chiuse in una saletta adibita in origine ai colloqui per i detenuti del 41 bis. Spessi vetri divisori, barriera invalicabile tra le due parti del bancone, senza possibilità di comunicare se non attraverso microfoni. Se i vetri appaiono pieni di crepe, resiste il cemento, gridano ancora disumanità i segni di contatti fisici impossibili.
Finalmente si può andare. Percorriamo l’ultimo tratto di corridoio sotto lo sguardo ironico di secondini maschi ( da loro è gestito il blocco colloqui).
Lo vedo in mezzo ai parenti raggruppati in fondo alla sala, con la grande figura e la giacca a quadri di sempre…..e, improvvisamente sento dilagarmi dentro la nostalgia che in tutti questi giorni ero riuscita ad esorcizzare….Con lui c’è l’aria di casa mia, ci sono i miei animali… e c’è la Valle, le sue lotte di sempre, con gli affetti, i pericoli, il dolore e l’allegria di una vita vera….
Prendiamo posto ad un tavolino. Insieme ai messaggi e saluti, ai racconti di iniziative scaturite da una solidarietà grande ed inaspettata, ci sono i silenzi di un’intimità infranta, raggelata da quest’universo dove non c’è posto per la gentilezza….
La sala colloqui è piena di parole e di sofferenza, Qualcuno piange, altri discorrono fitto. Dalle borse che le detenute hanno portato con sé spunta l’umile omaggio, la testarda ricerca di quotidianità a cui ci si appiglia per non snaturarsi: sui tavoli compaiono bottigliette di caffè, qualche merendina da consumare insieme, qualcosa da offrire, come quando si hanno visite, a casa….
L’ora di colloquio è già volata via, inesorabile.
Entra la guardia a richiamare le detenute, nominandole ad una ad una. Gli ultimi saluti affannosi sotto l’occhio indiscreto delle telecamere.
Prima di uscire dalla sala, mi volto un’ultima volta; lo vedo scomparire dalla porta di fondo, a testa bassa e mi stringono il cuore quei radi capelli grigi, quel passo stanco di persona anziana….
Ma per le detenute non è ancora finita: prima di recuperare i pacchi portati dai parenti, c’è la perquisizione corporale.
Chiuse in una stanza, aspettiamo l’arrivo della guardiana. A seconda di chi ci capita, la perquisizione sarà più o meno approfondita. Via le scarpe, le calze, i pantaloni. Alzare la maglia, abbassare le mutande, scuotere il fazzoletto…
Il rito è insopportabile, tanto più insopportabile quanto più immotivato. Accanto alle altre che, come me , si rivestono in fretta, mi sento montare dentro la marea dell’odio…