Novate, periferia milanese. Ci arrivi attraverso un reticolo di tangenziali, centri commerciali, strutture industriali, grattacieli in crescita disordinata. Questi luoghi un tempo erano cascine, distese di campi su cui la speculazione edilizia e l’industrializzazione si sono allargate come una lebbra inarrestabile. Del passato rimangono scampoli di verde asfittico, qualche filare di alberi anneriti. Anche l’era industriale sta tramontando, sotto i colpi delle delocalizzazioni, mentre sta avanzando la mala grande opera dell’Expo.
E’ questa la realtà in cui sono venuta a parlare dell’Altra Europa per Tsipras.
Mi accolgono i compagni nella Casa del Popolo.
Le serrande continuamente sfregiate di scritte fasciste parlano della presenza quotidiana di un antifascismo che sopravvive, nonostante il revisionismo storico e il partito trasversale degli affari.
La sala dell’incontro è una biblioteca: le pareti tappezzate di volumi, raccolte di riviste ormai introvabili, quadri che vengono da lontano e parlato di storie operaie, di resistenze popolari.
Dagli interventi emerge la critica ad un presente dove grande è la sconfitta e la ribellione appare sempre più lontana: sono le voci di un popolo scippato non solo dei diritti, ma anche dei sogni.
Eppure l’Europa del fiscal compact, della guerra all’uomo e alla natura, non è un Moloch invincibile, né lo sono i governi nazionali che se ne fanno cinghia di trasmissione.
Mi chiedono di raccontare la storia del movimento NO TAV. L’esperienza della Valle che resiste diventa messaggio dirompente: il potere non è invincibile se gli oppressi , rifiutata l’interiorizzazione della sconfitta, decidano di alzarsi in piedi, di unirsi nella lotta collettiva.
Sul tavolo a cui siedo splende un rosso geranio, una speranza, una promessa.