A tre anni dalla morte di Vittorio Arrigoni, riflessioni sulla Palestina.
Le ragioni che mi legano alla causa del popolo palestinese sono molte, durevoli e profonde. Alcune più immediatamente evidenti: basta entrare nella Valle di Susa, la terra dove vivo e dove lotto, basta salire ai cantieri del TAV, e si incontreranno dappertutto militari e poliziotti in assetto antisommossa, lince , autoblindo e idranti accanto a ruspe, trivelle, nastri trasportatori al servizio della grande fresa che scava il tunnel geognostico. Accanto gli sbarramenti fatti di cancelli, alti muri, reticolati di concertina israeliana, i check point armati superabili solo con lasciapassare.. “Respiro aria di casa” ci disse un compagno palestinese della Striscia di Gaza venuto ad esprimere solidarietà alla nostra lotta. Naturalmente fatte le debite proporzioni
: in Palestina di repressione si muore, i diritti sono stati cancellati da tempo immemorabile, l’emergenza è il ritmo della vita-non vita quotidiana. Ma l’arroganza di quel potere che anche a noi toglie respiro e vivibilità ci fa sentire come parte di noi quelle donne, quegli uomini, quei bambini a cui si sottrae terra, vita, libertà, presente, futuro.
Il TAV, la grande mala opera contro cui qui in Valle lottiamo da venticinque anni sta diventando una nuova arma di repressione anche contro la Palestina: si tratta di una nuova linea superveloce che dovrebbe collegare Gerusalemme a Tel Aviv sventrando interamente i territori palestinesi, con lavori affidati alla Pizzarotti, un’impresa italiana. Ma le ragioni di solidarietà verso il popolo palestinese sono ben più antiche e partono da quando la cattiva coscienza del Nord del Mondo (dimensione non tanto geografica, ma economica e sociale) decise di risolvere ai danni di una povera popolazione di pastori e contadini la questione del risarcimento dei campi di sterminio nazisti. Risarcire economicamente, socialmente e culturalmente le vittime di tanto orrore quanto sarebbe costato a quel potere che si riproduce, cinicamente ai danni delle vittime di sempre? Così a ingiustizia si aggiunse ingiustizia e fu contro altri poveri, contadini, pastori che si risolse la questione ebraica” ed ebbe inizio la “questione palestinese”.
Da allora Israele è il gendarme del Nord del mondo capitalistico nel Medio Oriente ricco di petrolio, punto di controllo e di attacco ai danni di regioni che possiedono risorse ambientali infinite. E i Palestinesi sono diventati popoli di troppo, scomodi per gli stessi potentati arabi che li hanno visti nel tempo come imbarazzanti ospiti (non dimentichiamo il “settembre nero” in Giordania, il massacro di Sabra e Chatila Teel al Zaatar in Libano).
Ora che tutti gli ulivi sono stati abbattuti, ora che tanti figli sono altrove, esiliati, sfuggiti alle persecuzioni o in cerca di lavoro, mentre l’avanzata degli insediamenti israeliani non si ferma mai; non è più tempo di esitazioni.
Il nostro impegno deve essere per il diritto all’autodeterminazione del popolo Palestinese; per il diritto al ritorno di esiliati e profughi; per la liberazione di quanti, resistenti e solidali della lotta palestinese, marciscono nelle carceri israeliane; per l’abbattimento del muro dell’aparheid e il ritiro immediato di esercito e insediamenti israeliani dai territori occupati; per l’interruzione di ogni rapporto politico, economico, militare dell’Italia e dell’Europa con Israele affinché si costruisca un solo stato, creato dalla determinazione degli oppressi, in cui possano convivano i due popoli con pari diritti ed uguale dignità.
La pace non è uno slogan, ma una realtà che va costruita, giorno dopo giorno, con chiarezza e senza mediazioni.
Fermiamo il massacro Lottiamo per la liberazione e l’autodeterminazione dei popoli. Restiamo umani.