La legalità del manganello

9cad464ffa7647d81359d9e8b510719b-024_MGTHUMB-INTERNAOggi a Brescia Renzi ha riciclato la teoria fascista del corporativismo: padroni e operai tutti uniti sotto l’etichetta che non prevede conflitti, scioperi e rivendicazioni degli sfruttati contro gli sfruttatori.

E’ il “bene comune” marca Jobs Act che lo chiede, quello che sancisce l’alleanza globale del capitale e porta alla liquidazione finale di diritti conquistati da cinquant’anni di lotte e corrosi nel tempo da violenze padronali e connivenze politiche e sindacali.

Contro tutto questo deve sorgere (ed e già quasi tardi) un conflitto collettivo degli oppressi che si organizzano senza possibili mediazioni.

Non interpreta i bisogni reali chi, dai palchi sindacali, a Torino, chiama provocatori gli studenti che manifastano contro i ministri del lavoro europei rinchiusi a concertare ulteriori precarizzazione e sfruttamento. E non rappresenta i lavoratori manganellati chi, a Roma, chiama “lavoratori” i manganellatori in divisa.

Solidarietà attiva agli antagonisti che oggi a Brescia, nonostante le manganellate, non hanno rinunciato ad assediare il palazzo dove, tra sorrisi e applausi, si consumava l’ennesima, umiliante svendita di quei diritti costruiti sul sangue partigiano e operaio, di giustizia sociale, libertà, solidarietà tra oppressi, salvaguardia sociale e ambientale, dignità e futuro per chiunque da qualunque parte del mondo.

Con gli operai, contro i padroni.

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Ecco come il Governo del Jobs Act accoglie gli operai di Terni.

Contro operai, studenti, precari, popolazioni in lotta la musica è sempre la stessa, quella dei padroni, a suon di manganelli, lacrimogeni, tribunali. Lottiamo insieme per cambiare musica e suonatori! Questa l’unica solidarietà davvero efficace.

Per Rèmi

remi-kY8G-U430405810527746bH-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443Morire a vent’anni perché non si accetta di subire un mondo deturpato dall’ingiustizia e dalla devastazione sociale e ambientale; perché si ama la vita e la bellezza,  si conosce la voce dei boschi, il sorriso delle erbe e delle acque,  lo sguardo dolce dei cuccioli.

Morire perché si è capito che la passiva accettazione del sopruso distrugge il presente e nega il  futuro, che la  forza liberatrice e collettiva esiste, ed è praticabile;  perché non ci si adegua ad aspettare dall’alto un riscatto che non verrà.

Morire perché la violenza del potere punisce duramente chi non vuole essere schiavo.

Piangere Rèmi vuol dire lottare ancora, lottare sempre, consapevoli che l’ingiustizia è immensa, ma non invincibile.

Dalla Clarea un grido di rabbia e di solidarietà.