Trivelle sul cuore del mare

referendum2016_Blu1_IlMareNostroIl movimento NO TAV è convintamente attivo a sostegno del SI’ al referendum del 17 aprile, abrogativo della legge trivellazioni

Consideriamo questo impegno una delle molteplici barricate che portiamo avanti ormai da quasi trent’anni e che ci accomunano alle lotte di tante realtà nel Paese e nel mondo.

Sappiamo bene che il TAV come le trivellazioni petrolifere sono semplicemente facce di un sistema fondato sulla guerra all’uomo e alla natura.

Il nemico da battere è il potere politico-finanziario che, in nome della propria riproduzione sta imponendo genocidi, desertificazioni, schiavitù neo-coloniali. Un potere che vive sulla produzione delle armi e quindi sulla guerra, sulle grandi male opere, sul lavoro schiavizzato, sull’usa e getta delle risorse, come delle persone e di tutti esseri viventi.

E’ significativo che uno dei temi che il partito trasversale degli affari sta portando avanti nella sua martellante propaganda antireferendum sia quello del diritto al lavoro, profetizzando famiglie buttate sul lastrico qualora le piattaforme petrolifere dovessero lavorare a termine.

Senza contare il fatto che un mare non inquinato offrirebbe molta più bellezza ed occasioni di lavoro turistico-naturalistico rispetto alla bomba ecologica delle piattaforme di combustibili fossili, non può non apparire sorprendente che a parlare di “diritto al lavoro” siano quello stesso governo e affini che con il job act hanno devastato decenni di conquiste operaie e sociali e imposto un ricatto occupazionale senza pari.

foto1-e1434443903359-1508x706_cIl nostro non è solo un sì a fermare le trivelle, ma un sì ad un modello di vita dolce ed in sintonia con i diritti dell’uomo e della natura.

Un sì alla salvaguardia delle risorse, e dei beni pubblici, al risparmio energetico ed all’utilizzo delle fonti energetiche a misura di territorio, rinnovabili e pulite.

Un sì ad una società dove il diritto di circolazione non sia garantito alle merci e ai capitali, ma alle persone, dove ognuno abbia il diritto ad una casa, ad un lavoro decente e alla cultura, ad una vita libera e felice.

Un sì ad un mondo senza guerre e frontiere, in cui ad indicare la via siano i diritti di tutti e dove sia davvero possibile ad ognuno dare secondo le proprie possibilità e ricevere secondo i propri bisogni.

797689Solo così sarà possibile un presente migliore ed un futuro vivibile e il mondo dei liberi e uguali non sarà solo un’astratta speranza.

Certo, il cammino sembra sempre più in salita, eppure  non dobbiamo disperare, ma rimanere sereni e chiari, nonostante tutto: come ci ricorda Rosa Luxemburg, in una lettera dal carcere dove viveva rinchiusa per la sua militanza di rivoluzionaria contro la guerra “…..anche quando può sembrare che, temporaneamente si stia mordendo il granito, non si deve dimenticare che la brava talpa della storia scava senza posa giorno e notte, fino a che si fa strada verso la luce”

Contro il passo ferrato della guerra

Pomeriggio di pallido sole, ma l’aria è già di primavera.
Lungo la strada verso la Clarea gli alberi si rivestono di gemme, sui pendii, tra le foglie secche, fanno capolino primule e viole.
1976958_1714085662161312_854394665884543101_nIn questa giornata di mobilitazione nazionale contro la guerra abbiamo scelto di manifestare davanti al cantiere TAV, il luogo dove meglio si incarna la nostra resistenza quotidiana.
Quella che cammina verso il cantiere è una piccola folla : anziani, qualche giovane, tante donne, bandiere NO TAV, bandiere rosse, qualche bandiera arcobaleno e, in apertura, uno striscione, di fattura artigianale,come si facevano un tempo, cui è affidato il messaggio “ Contro la guerra, le basi militari, le truppe d’occupazione”.
DSC_0979 (2)Il terreno risuona ancora rigido sotto i nostri passi, ma il vento leggero di marzo corre sul sentiero, si insinua tra le vigne già potate, gioca con le bandiere.
La guerra sembrerebbe lontana, molto lontana, se non fosse quella distesa pelata là in fondo, quella lebbra grigia che si allarga tra i boschi portando devastazione e schiavitù.
Là siaDSC_1000mo diretti, ma non ci arriviamo: ad una curva troviamo la strada interrotta da jersey e uomini in assetto antisommossa; tra i boschi sopra di noi si intravede una fila di armati.
Va così in pezzi l’incanto bucolico dei luoghi e del tempo.
Il potere che, in nome di grandi sporchi interessi, ci opprime da decenni con una guerra “a bassa intensità” è lo stesso che da 25 anni scatena guerre ad alta intensità contro altri “popoli di troppo”; Iraq, 12805663_696115653863829_6349812222413293953_nJugoslavia, Somalia, Afghanistan, ed ora Siria, Libia e altri ancora.
Sentiamo materializzarsi intorno a noi il fiume dei disperati che, in fuga dalla guerra e dalla fame, vanno a morire contro le barriere invalicabili dell’ Occidente imperialistico e neocoloniale.
Da 25 anni anche i governi italiani, in spregio dell’articolo 11 della Costituzione, precipitano il Paese in guerre scatenate dal capitale ai danni degli sfruttati e dei poveri del mondo; guerre all’esterno, a fianco degli USA e della NATO, o portate avanti “in guanti bianchi”, con la vendita di armi ai potentati economici di ogni continente; guerre all’interno attraverso leggi securitarie, taglio di diritti e repressione delle lotte. Il nostro NO TAV è un NO a tutto questo.
10347620_696116077197120_2969599671437662455_nOrmai si fa sera; si preannuncia una notte fredda, senza stelle.
Sul sentiero, a ridosso dello sbarramento, accendiamo un falò.
Che luce e calore giungano lontano, fuoco di resistenza e di ribellione, messaggio fraterno agli umiliati e oppressi di tutto il mondo.

Per Davide, per Laura nata in carcere

1432305225-davide-rosciIl carcere di Teramo è un moderno fortino, immane blocco di ferro e cemento arroccato sulla cima di un colle, totalmente estraneo al paesaggio circostante, fatto di dolci declivi coperti di uliveti, di montagne che si ergono in lontananza, bianche di neve.
Vi giungo in una mattina d’autunno che sembra primavera. Sole chiaro e aria profumata, un invito al libero andare. Penso a come si debbano sentire le donne e gli uomini oltre le sbarre.
Sono qui insieme alla delegazione in visita al carcere, a conclusione dell’iniziativa organizzata ieri dall’Osservatorio contro la repressione con un partecipatissimo convegno dal titolo “ Chi devasta e saccheggia è il capitale”, sugli scempi sociali e ambientali, la repressione nei confronti di chi vi si oppone, l’urgenza di un’amnistia sociale che liberi dalle galere quanti scontano il reato di povertà e con loro i compagni che – alcuni da mezzo secolo – pagano duramente l’antagonismo all’ingiustizia e alla schiavitù.
Tra poco vedrò Davide, Davide Rosci, uno dei giovani arrestati in seguito agli scontri avvenuti a Roma il 15 ottobre 2011, che sta scontando una condanna a sei anni per “devastazione e saccheggio”, un reato esistente solo per la legge italiana, triste eredità del codice fascista Rocco.
La visita comincia con le solite formalità, ( il controllo documenti il deposito borse e cellulari, la compilazione dei fogli di generalità). Al di là del pesante cancello c’è silenzio. Alcuni detenuti trasportano i bidoni della spazzatura, una quotidianità che stride con l’eccezionalità del luogo.
In una saletta interna il medico del carcere sta tenendo un corso per il personale di custodia e gli operatori sociali su temi trattati in due volumetti che ci vengono forniti: “ Conoscersi per amarsi. Tutela della salute della donna” e “Salute Mentale dei Soggetti Reclusi”.
Gli agenti che ci accompagnano non nascondono le difficoltà e le carenze: il sovraffollamento endemico, la presenza di carcerati con problemi psichiatrici che il carcere aggrava (nei mesi scorsi si sono verificati tentativi di suicidio), portatori di handicap in una struttura piena di barriere architettoniche, mancanza di spazi per attività lavorative e artigianali che permettano alla persona, insieme all’acquisizione di una professionalità, l’evasione almeno mentale dall’alienazione carceraria. Le attività che i detenuti svolgono a rotazione sono legate esclusivamente alla gestione interna quotidiana: pulizie, cucina, piccola manutenzione. C’è anche un orto per consumo interno, tenuto da reclusi che compiono in carcere gli studi di agraria (si preparano da privatisti, come anche altri, studenti di istituti professionali e universitari di Giurisprudenza). Il pezzo di terra è minuscolo, davvero un’anomalia rispetto al cemento circostante, ma dai teli delle brevi serre debordano fragole meravigliose, un rosso grido di vita in mezzo a quel morto grigiore.
Nei pressi del reparto femminile è stato allestito uno spazio per i colloqui con le famiglie: colori pastello alle pareti, affreschi di animali e pupazzetti eseguiti da un detenuto, mobili chiari, arredamento domestico; all’esterno un piccolo giardino con panchine e giochi per bambini. M è uno spazio disabitato: le donne e i bambini sono altrove, oltre i cancelli che si aprono e si chiudono al nostro passaggio.
Nel reparto femminile grandi pulizie del sabato, pavimenti tirati a specchio, le donne sulle porte delle celle in attesa che si asciughi il lungo corridoio centrale. Vado da loro; mi abbracciano, vogliono sapere il mio nome. Hanno età diverse, un’anziana, tante giovani, alcune giovanissime; qualcuna indossa il grembiule come nella cucina di casa.
Sento crescere il disagio per una visita che, oltre al saluto e all’abbraccio, non lascia loro niente, non porta buone novelle, non apre cancelli né abbatte inferriate, non renderà più leggero il carico dei mesi e degli anni scanditi da giorni vani e notti interminabili, non parla del dopo.11667490_1016343041712067_6940932372048320826_n
Il cuore del reparto femminile è il nido, che ospita con le madri, i bambini fino a tre anni d’età. Sulla porta della cella, in braccio alla giovanissima mamma , trovo Laura, nata lo scorso 14 novembre; dorme serena e ignara, fagottino rosa dai pugnetti serrati, lei così piccola e già privata dell’aria libera e del sole, rinchiusa in stanze tristi dove il cielo si vede solo dalle inferriate. Quale futuro questa società di sepolcri imbiancati riserva a lei, alla sua pallida madre bambina? E come può essere tutto questo un riosarcimento alla “società offesa”?
Saliamo col montacarichi al quinto piano, nel reparto dei comuni. (i piani sottostanti sono riservati ai detenuti per mafia, ai collaboranti, ai condannati per violenze sessuali).
Anche qui le celle sono aperte, il corridoio affollato.
Ci accompagnano alla cella di Davide. Un giovane (il suo coinquilino) sta spazzando vigorosamente con acqua e sapone il pavimento.
Davide arriva dal fondo del corridoio, sorridente sotto la gran barba, ; abbracci e commozione. Chiede dei compagni , del Movimento NO TAV, dell’assemblea tenutasi il giorno precedente. E’ forte, sereno e pieno d’amore, nonostante tutto, come chi affronta la sua strada senza arroganza ma con determinazione, capace , anche nella disumanità del luogo, di provvedere agli altri, ai più deboli e dimenticati. I compagni di detenzione gli si fanno vicini. Al direttore che intanto è sopraggiunto chiede anche per gli altri detenuti la possibilità di attrezzare una palestra, l’accesso ai canali televisivi; lo fa senza deferenze, con tranquilla autorevolezza.
La minuscola cella che divide con un compagno , parla di lui e dei suoi affetti: le foto dei familiari, i disegni dei nipotini, una piccola scansia di libri, il ritratto del Che, i colori del Teramo, una miriade di adesivi che rivendicano la sua militanza antifascista, le lotte sociali e ambientali tra cui spiccano i simboli NO TAV.
Dalla finestrina ferrata si scorgono i terreni che scendono tra casali e coltivi fino al mare, ma Davide ama i monti e, prima del commiato, mi accompagna in fondo al corridoio, alla vetrata da cui si può vedere il GranSasso innevato ed accanto ad esso quello che la leggenda chiama il gigante dormiente, un profilo supino di idolo, ieratico nel suo candido splendore. Mi viene da pensare che della stessa fibra forte e dolce siano plasmati Davide e questi generosi compagni che mi hanno accolta, ospitata, accompagnata.
Dal treno del ritorno, in corsa lungo un mare che ieri era di piombo ed ora accoglie l’ultima luce del tramonto ripenso a loro e scrivo queste note.