“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico….”

Dopo leunnamed-5 malinconiche giornate di pioggia, oggi è ricomparso l’autunno in tutto il suo splendore, quasi un dono di struggente bellezza prima dell’addio: dietro le antiche mura si affaccia un cielo terso che sa di primavera, scintillano montagne di roccia grigia con bagliori di metallo e, più in basso, squilla il rosso dei ciliegi selvatici, il giallo dei larici.
La prospettiva manca, interrotta dai tetti d’ardesia che circondano la mia attuale dimora , ma immagino le pendici di castagni e roverella giù giù fino alle frazioni e poi, più in basso, la mia casa, con i festoni di vite vergine che invadono la facciata, i cedri ed i due tigli quasi centenari (ai loro piedi comincia ad infittirsi il tappeto di foglie cadute).
Dietro casa, il prato verde e ruggine marezzato dal viola e dal rosa delle settembrine, dove pascolano tranquillamente l’asinella Dorothy, i capretti Yuri e Theo, la capra Stella dalle lunghe corna di stambecco. Al cancello, Argo accorre ad ogni voce, al più piccolo rumore; At si affaccia al balcone; le micie e il piccolo Tito occhieggiano dalle cataste di legna o sonnecchiano nel tepore di questo dolcissimo ottobre; Alì, trascinandosi appresso l’ala spezzata, becchetta nella grande voliera, Si stanno abituando alla mia assenza, ma, quando tornerò, sarà festa grande.
Anche la condizione d’evasa è desiderabile, non fa male, quando si è forti di buone ragioni e si hanno cose da amare e da ricordare.

Un mese da evasa.

admin-ajaxDa ormai un mese ho lasciato la mia casa, i miei animali, le piante che crescono
selvagge sui miei balconi, i grandi cedri pieni di nidi. Da un mese non rivedo la stanzetta quieta che custodisce libri e ricordi di settant’anni.

Da un mese me ne sono andata, in opposizione all’arbitrio degli arresti domiciliari “cautelari” che avrebbero voluto trasformare i luoghi e gli affetti della mia vita in carcere e fare di me l’obbediente, collaborante carceriera di me stessa.

Me ne sono andata perché amo e difendo la quotidianità dell’esistere, lo sfaccendare sereno nelle mie stanze, le creature che mi sono dolci compagne, le conversazioni quiete con gli amici.

Ora vivo altrove, non mi nascondo, ho pronte le mie cose per ogni ulteriore evenienza; le donne, gli uomini, i bambini del movimento sono con me ad allietare ed a proteggere le mie giornate.

E’ proprio questa socialità buona e fraterna a mettere in difficoltà un potere tanto arrogante quanto vile, il quale controlla quotidianamente la mia casa, si imbatte continuamente nei luoghi e nei momenti della mia evasione, ma non ha il coraggio di fermarmi, di affrontare la forza di un popolo che difende, con testarda mitezza e dissacrante ironia, il diritto ad un futuro più giusto e più vivibile per tutti.

Da oggi ho deciso di riconquistarmi la piena agibilità: anche se a casa non torno (lo farò quando quest’avventura sarà pienamente finita), riprendo in totale libertà la partecipazione ai viaggi per raccontare la lotta NO TAV ormai trentennale ed approfondirne i legami; tante realtà ci attendono per conoscere, esprimere solidarietà, organizzare una resistenza che non può più attendere.

E voglio tornare in Clarea, percorrere il sentiero tra i boschi autunnali, respirare emozioni e ricordi, riprovare la indignazione dell’arrivo al cantiere, la rabbia lucidissima che si fa lotta, volontà di liberazione, progetto di un futuro in cui ogni essere vivente possa davvero dare secondo le proprie possibilità e ricevere secondo i propri bisogni.

Storia di vigne

topiaIl cortile del mio luogo di evasione è un breve spazio incassato tra antiche mura, ma un vecchio pergolato lo inonda, come un mare verde, carico di grappoli che rimarranno come cibo invernale agli uccelli.

Questa nostra lotta è anche una storia di vigne. Quelle della Ramat che già subirono l’affronto dell’autostrada e che ora sono diventate territorio occupato, sottoposto alle leggi di guerra del cantiere TAV. Le vigne del versante di Giaglione, arroccate sui pendii della Clarea, ormai , per buona parte, in stato d’abbandono: in questi anni di camminate quasi quotidiane verso il cantiere le abbiamo viste inselvatichirsi a poco a poco; alcune sono state espiantate e di loro restano spazi vuoti, espropriati di lavoro e di storia.

E sono ancora paesaggi di vigna ad accompagnare le nostre rapide fughe lungo la penisola verso luoghi di assemblee ed incontri ribelli. Dai finestrini dei treni o dalle auto in corsa intravvedi i lunghi filari che coprono le colline o ne scorgi brevi festoni che occhieggiano tra orti ed uliveti e pensi al mito antico di dei scesi in terra a libare, immagini le opere pazienti di potature e cantine,la socialità di incontri e mense imbandite.

Poi torni al presente di nuovi sfruttamenti e schiavitù e pensi che la liberazione dell’essere umano e della natura non deve rimanere semplicemente una bella favola, ma divenire una meta realizzabile, perché tanto impegno e tanta bellezza abbiano senso e mettano radici.

Mentre scrivo, sale il buio a bussare alla mia porta, il pergolato scompare nell’ombra; qualche fruscio di passero ritardatario; rare stelle in un cielo che sa già d’inverno.


Tra poco scenderò a condividere la cena insieme a quanti veglieranno su di me questa notte.