Con Tepepa

img_bigTepepa, ovvero Ennio Sinigaglia. L’ho conosciuto qualche tempo fa, alla Credenza, dove si proiettava un video sulla sua vita. Rapinatore gentiluomo, aveva scontato anni e anni di carcere. Mi aveva colpita la sua figura di ultrasettantenne, con una vivacità, un’ironia ed un bagaglio di sogni che il carcere non era riuscito a cancellare.

Ho sentito riparlare di lui alcuni mesi fa, una breve notizia in cronaca, che diceva pressappoco così: “ex rapinatore di 79 anni evade dai domiciliari per andare a riscuotere la pensione; ripreso, processato per direttissima e riportato ai domiciliari con dose di detenzione rincarata”.

Oggi mi arrivano nuovamente sue notizie: “nuovi guai per nonno Tepepa”. Fermato dai carabinieri per evasione, nel bar sotto casa, dove era sceso a prendere un caffè, viene processato per direttissima e portato in carcere.

Dalla mia felipersone_testimonianze_poesiece, continuata evasione, in attesa del processo che mi è stato fissato per il 23 novembre, protetta dall’abbraccio del movimento NO TAV e dal consenso popolare che va ben oltre la Valle di Susa, non posso non provare solidarietà per Tepepa e non sentirmi, mio malgrado, privilegiata: evidentemente a pesare sul nostro destino non sono i fatti specifici, ma le nostre storie.

No, non mi piace la giustizia che è debole coi forti e forte coi deboli.

Davvero, più che mai, tribunali e carceri svolgono una sola funzione: quella del controllo sociale.

Se penso ai tanti Tepepa chiusi in quelle fortezzeuccelli1
di arbitrio e di repressione, mi invadono rabbia e tristezza.

Quante e quanti vorrei liberi questa sera, per essere nuovamente felice!

Chiudendo dietro a sé la porta verde

14939574_10210043694036149_6040642047023580157_oOra le nevi inerti sopra i monti

e le squallide pioggie e le lunghe ire

del rovaio che a notte urta le porte

e i brevi dì che paiono tramonti infiniti”

La lirica di Pascoli mi martella in testa, in questa sera di strade deserte, battute dal vento.

Se ne sono andate anche le bancarelle del magro mercatino domenicale dell’usato.

Sul muro di fronte alla mia finestra mulinano ombre impazzite di bandiere. Sullo sfondo, montagne coperte di neve precipitano nel buio.

Sono perfettamente sola, di nuovo lontana da casa.

Nel vuoto irrompono le immagini di ieri, una giornata che sembra lontana secoli.

La perquisizione della mia casa, da parte dei poliziotti che mi cercano dal sottotetto alla cantina senza trovarmi, e si spostano in Credenza per prelevarmi forzatamente e portarmi in tribunale al processo per direttissima legato alla mia evasione. La corsa sull’autostrada attraverso la Valle che sciorina tutti i colori dell’autunno. Poi una Torino di palazzi tristi, di lunghi viali già coperti di foglie cadute, subito grigia poltiglia.

Le auto della digos procedono a sirene spiegate, irrompono prepotentemente tra le code di auto ferme ai semafori. Ai lati, i passanti camminano indifferenti, assorti nei loro guai.

Per un breve tratto si affianca un’ambulanza,anch’essa con sirena e lampeggianti: mi chiedo chi ci sarà oltre quei vetri opachi, forse una vita che nasce o una storia che muore, in ogni caso lo spaccato di un’esistenza senza finzioni.

Invece è totalmente assurdo il mondo nel quale sono incappata: le frasi di cortesia da parte degli agenti che pure poco prima mi hanno costretta a seguirli; la blindatura del tribunale a cui accediamo attraverso un’entrata secondaria, l’aula dove vengo introdotta sotto consistente scorta. A un certo punto pare vogliano mettermi nella gabbia degli imputati, ma poi vince l’opposizione dei miei avvocati.

Il dibattimen++ Convalidato arresto della pasionaria dei No Tav ++to fila via veloce, nel clima prefestivo del sabato mattina: mi sembra di essere finita sul palcoscenico di un’assurda tragicommedia recitata da automi solo apparentemente umani. Ma è ben reale e mi intenerisce il gruppetto di donne e uomini NO TAV comparsi nel settore del pubblico; é dolce e rassicurante l’abbraccio che ci scambiamo in un momento di intervallo, sorprendente la comparsa della scodinzolante cagnolina Olivia venuta a testimoniare l’universalità della nostra lotta.

Entra la corte; in attesa del dibattimento che si terrà il 23 novembre e della sentenza, conferma i domiciliari. Penso a Giuliano e Luca, che hanno seguito la mia stessa sorte, ma dopo due mesi di carcere.

Dopo una sosta in questura, ritorno coatto a casa.

Mi aspettano gli abbracci di compagne e compagni, le feste delle mie bestiole. Respiro quella che fu la mia quotidianità; salgo tra i miei libri, nella quieta stanzetta sopra i tetti. Sugli scaffali si accumula la polvere di un mese e mezzo, ma ogni cosa è pronta a riaccogliermi, a riprendere la vita con me.

Eppure la lotta non può finire, l’evasione deve continuare e continuerà.

Preparo qualcosa da portar via, indumenti pesanti per il cambio di stagione, qualche volume, quaderni. Lascio cibo e medicine per i miei animali (una cara amica li accudisce quotidianamente).

Mentre ripercorro il vialetto che mi porta al cancello, i tigli mi salutano con una nevicata di foglie gialle. Ho la sensazione di mordere il granito, ma so che non è il caso di dispera14976462_10210043739237279_1546781582296976330_ore né di piangersi addosso.

Mi aiuta ricordare le parole di una canzone di Guccini che narra la dura storia di un emigrante:

Probabilmente uscì chiudendo dietro a sé la porta verde,

qualcuno si era alzato a preparargli in fretta un caffè d’orzo.

Non so se si girò, non era il tipo d’uomo che si perde

in nostalgie da ricchi e andò per la su a strada senza sforzo

Quando l’ho conosciuto, o inizio a ricordarlo, era già vecchio”.


Mi sento nel giusto, non sono sola. Ora posso ripartire.

Nel giorno dell’arresto

14956644_200571183717561_5990941827134292960_nQuanto tempo è passato da quando i Padri costituenti, ancora animati dal vento di Liberazione che spazzò via il nazifascismo e accese nuove, ahimè disattese speranze, dichiaravano che

«La resistenza, individuale e collettiva, agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino».

Quei diritti, quei doveri, per noi, per me, non sono un semplice slogan, ma ispirazione di vita e di azione.

Dalla prima misura cautelare inflittami, l’obbligo di firma, sono passati ormai quattro mesi. Ora, attraverso i successivi aggravamenti, sono giunta agli arresti domiciliari, che non sto rispettando.

Continuo la mia consapevole, condivisa, felice evasione contro provvedimenti preventivi che sono più che mai strumento di intimidazione, tentativo di minare una lotta giusta e collettiva, per questo irriducibile.

Evidentemente, il mio gesto di ribellione, che sono determinata a portare avanti fino in fondo, ha rotto lo schema di repressione che umilia le persone e le rende subalterne alle decisioni vendicative dei tribunali. La palese difficoltà del tribunale di Torino ad applicare quella che chiamano “l’obbligatorietà dell’azione penale” di fronte al mio pubblico e rivendicato “reato” di evasione è il maggior riconoscimento della forza di popolo che mi sostiene e insieme un messaggio attivo di fiducia e incoraggiamento per quanti subiscono arbitrii giudiziari che sembrano incontrastabili.

Un’evasione che vuole essere nuova tappa della lunga resistenza collettiva praticata dal movimento NO TAV contro i grandi, sporchi interessi del partito trasversale degli affari.

In questo monhqdefault-1-225x145do dove il dominio dei più forti sui più deboli si fa guerra, razzismo, sfruttamento, devastazione sociale e ambientale, gravissima emergenza democratica contro chi non si adegua, si aprono tribunali e carceri.

Oggi, nel vostro Palazzo, per l’ennesima volta, si processano, insieme ai cinquantatre compagni imputati, la Libera Repubblica della Maddalena e tutto il popolo NO TAV.

Anch’io sono parte di questo popolo, perciò sono qui, a testimoniare, come ho sempre fatto, complicità a compagne e compagni

Ho vissuto le giornate intense della Libera Repubblica, in cui si rafforzarono le radici della liberazione di Venaus e sperimentammo l’utopia realizzabile del ricevere da ognuno secondo le sue possibilità e del dare ad ognuno secondo i suoi bisogni.

Ero sulla barricata Stalingrado il 27 giugno 2011, a praticare la resistenza popolare contro gli armati e le ruspe giunte a sgomberarci. Ho visto e subìto la violenza poliziesca. Ho percorso i sentieri della Clarea il 3 luglio. Ho praticato l’assedio collettivo al cantiere; con donne, uomini, anziani e bambini ho respirato le migliaia di lacrimogeni lanciati quel14947716_1321976101170383_2060193089082302798_n giorno.

Il ricordo e l’indignazione per tanta ingiustizia sono, insieme alle ragioni della opposizione comune cont ro le grandi male opere e il modello di vita e di sviluppo che le genera, alimento potente di una lotta che dura, si rafforza, si allarga e vincerà.

Non sono qui per costituirmi o per fiducia nella vostra giustizia: sarà la storia che ci assolverà.

Torino, 3 novembre 2016 Nicoletta Dosio