La sovranità non appartiene al popolo.


7107848-003-kX9E-U43250864477574gHG-593x443@Corriere-Web-RomaTor Cervara. Il nome evoca boschi e campagne, scorci di casali e castelli, sagome di animali in corsa, dolci sguardi di cerbiatti e di agnelli. Forse tutto ciò era vero un tempo, ma oggi questi luoghi non sono altro che degradata periferia, dove si accumulano i rifiutati della città e del mondo.

Su tutto incombe il CIE, o meglio, come specificano i quotidiani,”l’ufficio stranieri più grande d’Italia con un archivio che supera il milione e mezzo di nominativi. È la principale struttura dove vengono svolti il fotosegnalamento e l’identificazione di immigrati clandestini, ma anche di pregiudicati italiani”. Casermone giallastro, inaugurato una decina di anni fa, ma già sordido, asserragliato tra alte reti, cancelli e piazzali d’asfalto.

DSC_0489In questo non-luogo sono stati dirottati i pullman con centoventi compagne e compagni cui è stato impedito di partecipare al corteo del NO Sociale contro l’UE delle banche, del razzismo e della guerra.

Fuori da quelle mura restiamo bloccati a lungo, nel vano tentativo, non solo di accedere all’interno per constatare le condizioni dei fermati, ma di conoscere i motivi dei fermi, spiegazioni che non vengono date neppure alla deputata europea ed all’avvocata che ci accompagnano: un clima di beffardo ed omertoso silenzio che la dice lunga sulla sospensione delle garanzie costituzionali e sulla morte della democrazia nel mondo e in questo nostro paese la cui sovranità dovrebbe “appartenere al popolo” .

Le ore passano lente. Costeggiamo le reti, cercando di vedere almeno da fuori compagne e DSC_0544compagni che, circondati da agenti in assetto antisommossa hanno improvvisato un piccolo corteo interno; affondiamo in cumuli di rifiuti, una vera e propria discarica abusiva di vetri rotti, elettrodomestici sfondati, stracci e rottami edilizi, tra i quali anche il verde della primavera diventa grigio

A sera la strada si rianima: frotte di donne e bambini rientrano al campo room che sta dall’altra parte della strada, di cui si intravedono, dietro una fitta sterpaglia, baracche di lamiere arrugginite, pozzanghere e desolazione.

nomadi_barbuta_2_originalCarceri all’apparenza diverse, ma nella sostanza uguali, dove si consuma l’esclusione in tutte le sue declinazioni politiche, economiche, sociali

Lo splendore dei palazzi che, protetti da zone rosse (questa volta chiamate blu in omaggio all’UE), ospitano gli uomini delle banche e della guerra e le loro offensive cerimonie, non sono che l’altra faccia di di tali rottamazioni , di tanto, intollerabile sopruso.

Solo a notte, finiti i cortei, una nostra delegazione riesce ad entrare, riabbracciare i fermati, comunicare loro la solidarietà che in queste ore è giunta dai tanti luoghi della lotta e della resistenza. Nonostante tutto, l’indignazione per la violenza subita è temperata dall’ironia di sempre, dalla certezza che, come sempre, si parte e si torna insieme.

Si risale sDSC_0588ui pullman che saranno scortati da ingenti forze di polizia oltre i confini di Roma. Qualcuno ha il foglio di via per tre anni, altri per uno. Tutti sono entrati negli schedari identificativi di Tor Cervara con fotografie e impronte digitali.

Una fredda pioggerellina ha preso a battere le strade.

Dai limiti del campo room un gruppetto di bambini guarda in silenzio.

Luna

La giimagesornata che declina verso il tramonto ha un cielo di cobalto, lavato dal vento dei giorni scorsi.
Le montagne, oltre i tetti, grigie di roccia e bianche di neve.
Sono queste ore strane, tiepide come di maggio, ma con gli odori ed i silenzi di fine inverno. L’equivoco della stagione pesa sugli alberi che buttano fuori gemme frettolose, sull’inquietudine degli animali e su quest’angoscia sottile, senza un perché se non l’urgenza di catalogare i ricordi.
Fatto buio, tornerà la luna, grande, malinconica, ma capace di rischiarare la notte e di segnare il cammino.
Neppure il giorno artificiale del cantiere in Clarea riesce a spegnere quel grande volto che veglia sui boschi addormentati, in una notte che sa di primule e di primavera; una notte in cui a resistere è la vita testarda dei figli di questa terra mai arresa.

Compleanno

5602cb179daf4_HelleborusnigerQuanti auguri per questi settantun anni dei quali, in realtà, non ho alcun merito se non la caparbietà dell’esistere; la “breve luce” della vita cui mi sentivo destinata si è allungata nel meriggio ed ora sta declinando, si sta facendo sera.
Ho sempre pensato che le feste di compleanno dovrebbero essere rivolte anche alle madri: loro è la lunga fatica della gestazione e del parto, loro l’impegno e la preoccupazione di proteggere e di crescere, senza chiedere contropartite, la nuova creatura, sempre troppo presto autonoma e lontana.
Settantun anni fa era un giorno di neve alta (ah i cambiamenti climatici!), con strade impraticabili, sulle quali l’auto di piazza, che portava mia madre all’ospedale di Rivoli, avanzava a fatica. Erano epoche di parti in casa, assistiti dalle donne della famiglia, ma non per la mia mamma che aveva madre e sorelle lontane.
Venni al mondo alle due di una gelida notte, il 18 febbraio del 1946, in un paese appena uscito dalla guerra di cui ancora si pativano i guasti e la fame, controbilanciati dall’esigenza della ricostruzione, morale e civile prima che materiale. Regnava ancora la monarchia, ma ferveva ormai la campagna referendaria che avrebbe portato alla nascita della repubblica.
La nostra era una famiglia operaia di dignitosa povertà. Il corredino per me che dovevo nascere era stato cucito in casa con scampoli acquistati allo spaccio aziendale del cotonificio Boneschi di Alpignano: pezzi diversi messi insieme con amore e abilità, ma esibiti dalla suora infermiera con una sufficienza ironica che mia madre non avrebbe mai dimenticato e che ancora bruciava nei suoi racconti.
Di quel mondo ormai lontano restano vivi ed attuali, insieme ai ricordi, il senso di responsabilità, la semplicità, il rifiuto dell’indifferenza.
Non avrei voluto altra nascita né altra vita.