Penso ad Atene. Il cappio dell’Europa dei potenti si sta stringendo ad impiccare un popolo che resiste e propone per tutti altri mondi, un’ altra società, altri futuri, nel silenzio di chi, senza speranza e senza sogni, dimentica che, insieme, si lotta e ci si libera.
Ricordo le strade, i colori, la folla buona, la povertà dignitosa e ribelle di Atene.
Ricordo lo splendore dei viali di aranci, le osterie anarchiche di Exarchia, coi gatti che ti chiedono di condividere il cibo e le stradine piene di ragazzi e di dolcissimi cani.
E mi viene in mente, all’improvviso un negozietto di argenti e pietre dure, azzurro e rosso, nel quartiere di Plaka, in una zona senza traffico turistico, sul versante più impervio dell’Acropoli, con sentieri che si inerpicano tra piccoli cortili e spesso finiscono nel nulla: Mi affascinò la sua misteriosa semplicità affacciata sul ciottolato di una via deserta. Non vi entrai subito, però mi ripromisi di tornarvi. Ma, quando, scendendo dall’Acropoli, ripercorsi quei luoghi, lo stesso quartiere, la stessa strada, non ritrovai la piccola bottega, come se fosse scomparsa nel nulla.
Torno ad Atene, non solo per solidarietà umana e politica, ma come ad un luogo del cuore.
Libertà per i NO EXPO!
Continuano devastazione e saccheggio portati avanti da Expo.
Devastazione reale connaturata alle Grandi Opere e ai Grandi Eventi.
Devastazione culturale che porta frotte di visitatori pilotati e scolaresche eteroguidate ad imparare modelli di produzione e di vita che sono sfruttamento del Pianeta, devastazione degli ecosistemi ambientali e sociali, dominio della monocultura capitalistica sull’agricoltura di sussistenza legata ai bisogni reali dei territori,devastazione dell’ immaginario collettivo ad opera di mass media sudditi del Grande Fratello imperiale.
Saccheggio che le multinazionali, regine dell’Expo, portano avanti, sistematicamente, contro le popolazioni di tutto il mondo, con l’appropriazione violenta della terra, dell’acqua, dell’aria, dei semi, della sovranità popolare, della salute, della forza lavoro, delle case, delle culture, della bellezza che è componente essenziale della vita.
Expo imperversa, nonostante lo spreco di cibo buttato nei sacchi a perdere di una periferia devastata e affamata, malgrado i lavoratori sfruttati e non pagati, le strutture pericolanti, gli scheletri mafiosi nell’armadio, le connivenze di un sistema politico locale e nazionale che chiama a raccolta i “benpensanti” contro i dissidenti all’Expo, ma difende (e condivide) il sistema affaristico e guerrafondaio che dell’Expo è ragione e linfa vitale.
Intanto restano in carcere i cinque manifestanti del Primo Maggio NO Expo, presi a caso, come loro stessi testimoniano , e accusati di violenza, devastazione e saccheggio, per le vetrine infrante di una banca e l’incendio di alcune autovetture.
Alle donne e agli uomini di buona volontà non può non apparire inaccettabile la sproporzione, intollerabile la repressione, insostenibile il silenzio, urgente la richiesta di scarcerazione di queste ragazze e ragazzi che sono parte di noi, noi che questo sistema senza sogni e senza memoria, subdolo e violento, lo combattiamo, lo combatteremo sempre, a fianco dei popoli del mondo per cui l’Expo è vetrina di sfruttamento, devastazione , morte.
L’ordine dei torturatori
La Corte di Strasburgo sancisce ciò che da quattordici anni ripetono a gran voce coloro che vissero Genova 2001 contro il G8 e quanti, da tante parti del mondo, sentono come inferte a se stessi quelle torture e quelle offese.
Quanto siano violente e impunite le cosiddette “forze dell’ordine” là dove- come nel nostro paese- la parola “democrazia” è una foglia di fico per mascherare l’arbitrio di un potere sempre più arrogante e spregiatore di ogni giustizia, diritto e verità, lo sanno bene gli assassinati di polizia e le loro famiglie, lo sperimentano direttamente coloro che si ribellano ai soprusi, sui territori devastati dalle grandi opere, nelle città della fame e degli sfratti, nei luoghi dello sfruttamento e della precarietà.
In Italia mai i Parlamenti hanno varato una legge contro la tortura né esistono segni identificativi sulle divise delle “forze dell’ordine”: il ricatto dei sindacati di polizia e dei sistemi di potere è, da sempre, più forte delle ragioni dei comitati contro la repressione, dei tanti umiliati e offesi che mai hanno trovato ascolto nei palazzi.
La sentenza della Corte europea non restituirà certo ad Haidi, Giuliano ed Elena la primavera infranta di Carlo, né basterà per ridare vita agli assassinati nelle camere di sicurezza o lungo le vie crucis degli arresti, ma sarà almeno una conferma alle denunce inascoltate e un riconoscimento per la tenacia di Arnaldo che da anni, in tante assemblee e manifestazioni, forte della sua semplicità e del suo fazzoletto rosso, ripete una verità scomoda, dando voce anche a coloro che voce non hanno mai avuto o non l’hanno più.
Non è certo un punto di arrivo, ma un punto di partenza perché la lotta collettiva contro l’ingiustizia sociale, per una vita degna di essere vissuta, trovi nuova forza e attiva, irriducibile speranza.