Argo

2014-06-30-16-01-43Si può andare ad un processo dal quale ci si aspetta una condanna, andarci forzatamente, prelevati dai carabinieri e, nonostante tutto, essere felici.

C’è quel cielo dell’alba là in fondo,che dilaga sui prati coperti di brina, sui grigi capannoni della periferia, e si impiglia nei rami spogli dei viali cittadini.

Il processo al tribunale di Torino si conclude ad alta velocità: una sentenza fulminea – otto mesi senza condizionali – pronunciata prima ancora che gli avvocati abbiano avuto il tempo di indossare la toga, prima ancora che siano state aperte al pubblico le porte dell’aula: altri casi premono, altre vite da passare al tritacarne, nella catena di montaggio della ingiustizia quotidiana.

Fuori dall’aula mi attendono compagne e compagni, qualcuno arrivato da lontano, Milano, Brescia, Roma. Un abbraccio veloce, sottratto alla procedura che mi vuole immediatamente riportata alla casa dei miei affetti, quella che ho lasciato per amore, perché non fosse trasformata nella mia prigione.

downloadEd ecco, dall’autostrada, venirmi incontro una gloria di montagne, una teoria di cime innevate contro il cielo terso, dalla geometria del Monviso, alle sagome delle Alpi Graie che si perdono in lontananza. Ma ad annunciare davvero la Valle sono la Sacra e il Musinè, il profilo inconfondibile del Rocciamelone.

Bussoleno mi accoglie nel tepore di un sole di dicembre che sa già di primavera. Via Torino, via Battisti, via San Lorenzo, i cedri argentei della mia casa, Argo al cancello che uggiola di gioia, sospeso tra l’entusiasmo e l’incredulità. Fra qualche istante mi saranno tutte intorno le dolci creature della mia quotidianità interrotta e mi seguiranno per le stanze, fino al sottotetto dove vivono i miei libri.

Riparto senza voltarmi indietro, per non vedere lo sguardo triste di Argo, attraverso le sbarre.

la legge non è uguale per tutti

Che limagesa legge non sia uguale per tutti non lo scopriamo ora, ma sento il dovere di ribadirlo, dalla mia ostinata e, a quanto pare, invisibile evasione; un’evasione che si sostiene sulla solidarietà da parte del Movimento NO TAV e delle tante realtà resistenti capaci di fare, del nostro paese e del mondo, un luogo dove ha ancora senso vivere e spendere concreta speranza.

Sono cosciente che la mia condizione è l’eccezione che conferma la regola, una regola che viene sistematicamente applicata nei confronti di chi viola le misure cautelari e si oppone alle vessazioni della cosiddetta Giustizia, a Torino come altrove.

Sono convinta che la verità sia rivoluzionaria e che la conoscenza sia diritto di tutti e strumento importante di giustizia sociale, per questo ho deciso di divulgare il documento che accludo.

Richiederebbe un dettagliato commento che ci riproponiamo per il prossimo futuro, ma mi sembra giusto farlo conoscere subito, in modo che possa essere tempestivamente utilizzato per la difesa e per la lotta.

E’ un15442107_1369501716417821_682283270730627986_n documento emesso dalla Procura di Torino (con allegata sentenza del tribunale): una vera e propria dichiarazione politica, emblematica per la sua tortuosità e per le sue disinvolte contraddizioni, da cui si può evincere come il fine giustifichi i mezzi e come il giusto e l’ingiusto, il lecito e l’illecito siano questione non tanto di sostanza, ma di opportunità.

Ne emerge la logica ferrea del sistema, pronto ad usare, di volta in volta, il bastone e la carota per farci schiavi e vittime conniventi.

Un documento il quale dimostra anche che, quando alziamo la testa, scopriamo che “il re è nudo” e che il conflitto collettivo, forte di cuore, di ragione e di responsabilità verso il futuro, paga ed è contagioso: per questo fa paura e vincerà.

Da parte mia, non un passo indietro; e non per “eroismo”, ma per decenza.

 Bussoleno, 13 dicembre 2016 Nicoletta Dosio

Il vento fischia ancora

15355655_10211830922873196_3963246472224951280_nSi sale fra i boschi di castagni, sotto un terso cielo invernale; intorno le montagne innevate splendono al sole. L’unico suono è lo scricchiolio delle foglie d’autunno sotto i passi.
Con noi un partigiano ultranovantenne ed un bimbo di poche settimane, ben protetto dal freddo tra le braccia del padre.
Ci accoglie la breve radura protetta dagli alberi sui quali domina un vecchio castagno, che sicuramente conserva, nel segreto del proprio cuore verde, la memoria di quell’otto dicembre 1943 , il giorno del giuramento partigiano della Garda, col quale nacque la prima formazione partigiana della Valle, una delle prime d’Italia.
Di quella giornata esiste una fotografia: giovani schierati in una fila che dovrebbe essere militarescamente ordinata, ma che conserva una spontaneità per nulla militaresca. Se qualcuno indossa ancora i panni della leva interrotta l’8 settembre, la maggior parte porta gli indumenti dei figli della montagna. Qualche cappello alpino, ma i più col passamontagna. C’è qualche fucile da esibire a presentat arm, ma la stragrande maggioranza ha solo la propria giovanile ribellione.
15355655_10211830922873196_3963246472224951280_nA ricordare quei tempi è Ugo Berga, uno dei ragazzi di allora. Parla per ultimo, dopo gli oratori ufficiali ed il saluto del giovane georgiano giunto in Valsusa seguendo i ricordi di suo nonno partigiano. Poche parole, lontane dalla retorica, capaci di riportare di quei tempi l’utopia, l’urgenza libertaria. Racconta dei compagni trucidati nelle imboscate fasciste o deportati nei lager; parla dei loro sogni adolescenti, ma anche di una Resistenza viva più che mai, della lotta civile che, accanto alla lotta armata, fu forza invincibile e continua ad esserlo, nella nostra Valle come in ogni parte del mondo, là dove esistono ingiustizia e sopraffazione del più forte sul più debole.
Ugo, il più anziano e il più giovane di tutti noi, capace di commuovere e di dare coraggio.
Intorno, le bandiere partigiane si muovono al vento che fischia, ora come allora.