Compleanno

5602cb179daf4_HelleborusnigerQuanti auguri per questi settantun anni dei quali, in realtà, non ho alcun merito se non la caparbietà dell’esistere; la “breve luce” della vita cui mi sentivo destinata si è allungata nel meriggio ed ora sta declinando, si sta facendo sera.
Ho sempre pensato che le feste di compleanno dovrebbero essere rivolte anche alle madri: loro è la lunga fatica della gestazione e del parto, loro l’impegno e la preoccupazione di proteggere e di crescere, senza chiedere contropartite, la nuova creatura, sempre troppo presto autonoma e lontana.
Settantun anni fa era un giorno di neve alta (ah i cambiamenti climatici!), con strade impraticabili, sulle quali l’auto di piazza, che portava mia madre all’ospedale di Rivoli, avanzava a fatica. Erano epoche di parti in casa, assistiti dalle donne della famiglia, ma non per la mia mamma che aveva madre e sorelle lontane.
Venni al mondo alle due di una gelida notte, il 18 febbraio del 1946, in un paese appena uscito dalla guerra di cui ancora si pativano i guasti e la fame, controbilanciati dall’esigenza della ricostruzione, morale e civile prima che materiale. Regnava ancora la monarchia, ma ferveva ormai la campagna referendaria che avrebbe portato alla nascita della repubblica.
La nostra era una famiglia operaia di dignitosa povertà. Il corredino per me che dovevo nascere era stato cucito in casa con scampoli acquistati allo spaccio aziendale del cotonificio Boneschi di Alpignano: pezzi diversi messi insieme con amore e abilità, ma esibiti dalla suora infermiera con una sufficienza ironica che mia madre non avrebbe mai dimenticato e che ancora bruciava nei suoi racconti.
Di quel mondo ormai lontano restano vivi ed attuali, insieme ai ricordi, il senso di responsabilità, la semplicità, il rifiuto dell’indifferenza.
Non avrei voluto altra nascita né altra vita.

Attesa

ferrosTorino, piazzale antistante il carcere delle Vallette, venerdì 10 febbraio, ore 20. Insieme a Gino, sto aspettando l’uscita di Luca, che ritornerà in Valle, ai domiciliari.
Da tre giorni, per sentenza del tribunale, Luca dovrebbe essere tornato da Gino suo paterno ospite.Ma è ancora qui, tra alte mura. Oggi però dovrebbe essere la volta buona.
Il tempo non passa mai davanti a questi cancelli invalicabili, sotto il perenne giorno dei riflettori, nell’attesa che si fa sgomento e pesa in cuore come un macigno. Ad intervalli arrivano e partono vuoti pullman metropolitani.
Ma ecco che, ad un certo punto arrivano alcune auto e si mettono in sosta di fianco a noi. Pensiamo ad altri parenti in attesa di detenuti in uscita, ma dal loro fare mondano, dai saluti allegri che si scambiano, fanno piuttosto pensare ad amici che si incontrano per una cena al ristorante…
E’ così è in effetti: sono clienti della Liberamensa, il nuovo progetto/ristorante che funziona all’interno del carcere, con l’impiego di cuochi e camerieri detenuti, nelle serate di venerdì e sabato, previa prenotazione ed esibizione dei documenti per avere accesso ad una sala completamente ristrutturata ed elegantemente confortevole.
Mentre i clienti sfilano davanti ai secondini della portineria e scompaiono in una bussola evidentemente munita di metaldetector, penso con rabbia ai poveri, spesso immangiabili pasti dei detenuti, ai corridoi scrostati, alle celle piene di spifferi, alle docce dai muri coperti di muffa, alla vita grama di chi non riceve cibo dall’esterno o denaro per la spesina.
I fiori all’occhiello dei progetti di recupero carcerario si rivelano così per quello che sono: foglie di fico inadeguate a nascondere l’orrore di una quotidianità che non recupera ma devasta.
Spersone_testimonianze_poesieono ormai le 21; il piazzale è tornato deserto, fatta eccezione per altre due persone che , come noi, aspettano una scarcerazione.
Ma si apre finalmente il pesante cancello d’ingresso: ecco Luca insieme ad altri quattro poco più che ragazzi. Si guardano intorno come spaesati. Chi non è atteso si avvia solo verso la fermata dei mezzi pubblici. Ma, prima di ripartire ognuno verso il proprio destino, si abbracciano augurandosi buona fortuna e salutano anche noi che stiamo aspettando.
Il macigno che mi pesava in cuore si scioglie così in commozione: in questo non-luogo di silenzio irreale, dove migliaia di persone sono costrette ad una non-vita fra mura, sbarre e cemento, davanti all’ennesima notte di un tempo immobile, quei semplici gesti fraterni, quel saluto gentile dicono che il sogno non è finito, che la forza del restare umani saprà vincere anche l’ottusa crudeltà del potere.

Cari Luca, Donato, Stefano…..

16142203_10212302002409890_6139236907175595645_nCari Luca, Donato, Stefano,
non so se dalle sbarre che vi rinchiudono riusciate a vedere, lontane ma vive e forti, le montagne di questa Valle che è anche vostra e che continua,con serenità e determinazione, a resistere.
In queste stanze che furono della mia evasione e che continuano ad essere, almeno in parte, della mia vita, penso a voi, alla vostra generosità ed a quei morti viventi che vi hanno denunciati, arrestati, condannati e reclusi.
Vorrei avervi qui, nel sole quasi primaverile di questi nostri luoghi di vita e di lotta.
Lungo il sentiero verso la Clarea sono spuntate, timide ma tenaci, le primule e, nel profondo della terra si muovono, con passo impercettibile, semi e radici.
Ma anche la città, quella degli sfrattati senza casa e dei miseri fagotti umani rannicchiati sotto portici e androni, sembra trasalire, percorsa da spirali di aria nuova, che vanno ad ingarbugliarsi nei rami spogli dei viali, tra le siepi dei parchi.
Non so se questi refoli di vento giungano fino a voi, nonostante il ferro e il cemento da cui siete imprigionati, ma voglio dirvi che è con voi questo nostro popolo in lotta e che, se il gelo delle grandi male opere e degli sfratti quotidiani nei confronti degli ultimi e dei più deboli, sembra più forte della vostra caparbia generosità, la rabbia cresce, lotta paga e presto vincerà.
Voi siete nel nostro cuore, con voi sono i nostri pensieri il nostro agire quotidiano: nelle vostre celle, al vostro fianco, c’è il mondo dei liberi e uguali, quello da cui sono esclusi da sempre e per sempre gli sporchi affaristi che fanno della Terra e della casa uno strumento di profitto per pochi contro i diritti di tutti..
Vi abbraccio e, con tutte le compagne ed i compagni, vi vogliamo liberi subito. Nicoletta