Ad Arquata, contro il deserto del cuore

10348466_779798118717534_1606611814189386909_nCantiere TAV di Arquata Scrivia.

Fino a qualche giorno fa era una spianata di terra rossa,intervallata da qualche scampolo d’erba, calcinacci di case abbattute, il tutto chiuso da reti nelle quali fece allegra breccia l’ultima manifestazione.

Ora quel vuoto si sta popolando di conteiner, silos, mezzi movimento terra, fari che rompono la notte e condannano la zona ad un eterno giorno artificiale.

Il presidio NO TAV, che sorge nelle vicinanze, ha organizzato un’iniziativa serale per denunciare l’ennesima stangata di provvedimenti giudiziari e fogli di via contro gli oppositori al Terzo Valico. Musica, una grigliata, gioia di ritrovarsi, tristezza per chi non può esserci, come Claudio, bandito “fino alla fine dei lavori” da tutti i Comuni sede di cantiere della grande mala opera.

Quanto diversi, inesorabilmente inconciliabili sono questi due mondi che si fronteggiano!

Qui voci e abbracci. musica e canzoni, le ghirlande di luci a illuminare la breve radura, il fuoco buono e il fumo della grigliata;  i tanti volti di un popolo in lotta. Di fronte, una congerie di macchine immobili in un silenzio innaturale, cui fa da sottofondo l’ansito monotono dei generatori. Celate nell’ombra le sagome scure dei furgoni di polizia.

La sera si fa notte, una notte di stelle.

Scendo con altre donne per il sentiero che fiancheggia le reti e si inoltra nel bosco. Vista da vicino, la terra ferita è un groviglio di radici da cui emana un vapore di lacrime.

Ad un’ansa della strada ci troviamo nel bosco fitto. Gli alberi schermano l’invadenza dei riflettori. Il gracidìo delle rane ci parla di misteriosi acquitrini fioriti di iris. Dal buio fondo emerge una moltitudine di lucciole, lumi che pulsano col ritmo del cuore e sembrano invitarci ad andare avanti, oltre l’orrore e l’impotenza del presente.

Bellezza fragile e minacciata, destinata a cadere sotto la violenza del TAV, se non riusciremo a fermare la grande mala opera.

Ritorniamo. Lungo le reti rimpiango le tronchesine che ho usato e perso nei boschi della Clarea.

Rumori alle nostre spalle; improvvisamente si materializzano due digos, per scomparire di nuovo nell’ombra. Altri li troviamo nel piazzale dove recuperiamo l’auto.

Repressione è anche questo: il potere occhiuto, nemico di ogni gentilezza, che si insinua nella vita di ognuno, spiandone passi, pensieri, sentimenti, sogni ben sapendo che avrà definitivamente vinto solo se al deserto della terra riuscirà ad aggiungere il deserto della volontà e della speranza.

Rientro in Valle che è quasi l’alba; tutto è pace e silenzio sui paesi addormentati.

Le stelle baluginano piccole, remote. Ripenso ai cieli notturni della Clarea, in quel giugno della libera repubblica della Maddalena che sembra così lontano, quasi irreale. Quanto difficile, angoscioso diventa tornarvi ora che la devastazione morde luoghi e ricordi! Ma più difficile sarebbe dimenticare, arrendersi alla ragionevolezza di chi si dice realista ed ha semplicemente accettato il deserto del cuore.

Solidarietà ai militanti NO TAV Terzo Valico

3VAL080912OB3-728x546La repressione picchia duro anche nei confronti del Movimento NO TAV Terzo Valico. Non è una novità: gia in passato compagne e compagni  sono stati colpiti da  denunce, obblighi di dimora, intimidazioni per la solidarietà espressa alla Valle di Susa e per le manifestazioni contro la devastazione sui territori della loro vita.  Ora gli ennesimi provvedimenti repressivi stanno arrivando, in riferimento alle più recenti manifestazioni di Pozzolo Formigaro ed Arquata: nuove denunce, fogli di via e una richiesta danni per un milione e mezzo di euro.

Ad Arquata c’ero anch’io ed ho vissuto la partecipazione popolare, serena, ironica e determinata. Sono andata oltre le reti, fino alle rovine di una casa abbattuta, circondata dai mozziconi di quelli che furono ciliegi splendenti di fiori in primavera, generosi di frutti nell’estate, solerti nell’offrire rifugio ai nidi e bellezza agli sguardi non indifferenti.

Anche per questi territori il TAV è un incubo di malattia e di morte.

Partendo da Genova fino ad Arquata, già si incontrano i primi segni della rapina chiamata Terzo Valico: le case  di Isoverde abbattute per far posto alle strade dei costruendi cantieri; abitazioni svuotate e boschi distrutti a Trasta e a Campomorone (ah quell’ultimo abitante di uno scampolo d’orto, lo sparuto micino cui qualcuno ha dato nome Valico!); la lebbra che divora stradine, coltivi e uliveti, corrodendo spazio vitale ai declivi verso l’Alessandrino.

Neppure le memorie del passato sono salve dall’ aggressione che avanza: l’antica città di Libarna e gli insediamenti artigianali dei suoi dintorni, protetti attraverso i secoli nel ventre della madre terra e ritornati alla luce durante l’impianto dei cantieri, non sono stati ritenuti motivi sufficienti per fermare il disastro.

E che dire della zona del Tortonese, dove regna l’impero dei Gavio? Gavio è autostrade, 1379641_10201937168343794_268884134_npoli logistici, cave che si allargano per chilometri a interrare veleni e smangiare suoli ; e un mare di terre ancora coltivate, ma di cui è previsto l’utilizzo come cave e discariche per i materiali di risulta del Terzo Valico.

Contro chi non si rassegna e non si arrende ai grandi, sporchi interessi si alza , come sempre, la repressione. Le Procure, cieche davanti agli omicidi “bianchi” nei cantieri, alle malattie da inquinanti, alla riduzione in schiavitù dei lavoratori migranti nelle campagne, alle mafie che si chiamano Grandi Opere, intervengono con pugno d’acciaio per cercar di fermare chi ha scelto di non adeguarsi, di non vendersi, dunque di lottare.

Care compagne e compagni, non siete soli, con voi sono le ragioni di un presente vivibile e di un futuro più giusto e felice per tutti. Vi giunga la solidarietà totale della Valle di Susa che resiste. Siamo con voi e lo saremo sempre!

Miti carnefici

chiavennaNella Primavera hitleriana di Montale, mentre la natura reagisce col gelo alla guerra che verrà, i “miti carnefici”, partecipano a loro modo all’ubriacatura propagandistica esibendo vetrine

povere e inoffensive, benché armate anch’esse di cannoni e giocattoli di guerra” e il beccaio “infiora di bacche il muso dei capretti uccisi”; e “più nessuno è incolpevole”.

Mi tornano in mente queste immagini, mentre ascolto la scrittrice Lorenza Ghinelli leggere, dal suo ultimo libro, la descrizione impietosa e lucida di un mattatoio industriale, luogo di tortura per le vittime e di abbrutimento per i macellatori, dal quale non può uscire se non degrado morale e malattia materiale.

Sofferenza, devastazione, rapina di risorse e di bellezza: unica è la radice dello sfruttamento dell’uomo e della natura, identica la necessità di opporvisi.

Ripenso ad una lettera di Rosa Luxemburg dal carcere:

«Proprio ieri ho letto qualcosa sulle cause della diminuzione degli uccelli canori in Germania: sono la crescente coltura razionale delle foreste e dei giardini e l’agricoltura che man mano distruggono tutte le loro condizioni naturali di nidificazione e alimentazione: alberi cavi, terreni incolti, sterpaglia, foglie secche sul terreno dei giardini. Mi ha fatto tanto male, quando l’ho letto. Non è tanto il canto per gli uomini che mi interessa, ma è l’immagine del silenzioso, inarrestabile declino di queste piccole creature che mi addolora fino alle lacrime Mi richiama alla mente un libro sul declino dei pellerossa nell’America del nord, che lessi quando ero a Zurigo: anch’essi furono man mano scacciati dal loro territorio dagli uomini civili e condannati ad un silenzioso, crudele declino»

Quella di cui Rosa parla è la “civiltà del capitale” , la stessa che ha distrutto i saperi e le professionalità, riducendo le abilità umane a merce vile da spremere e da gettare quando non servono più.

Quella che cementifica monti e pianure per costruire il TAV e, per celebrare con Expo il futuro dell’alimentazione, desertifica migliaia di ettari di terra buona e bella, vanificando ogni progetto di agricoltura sostenibile.

Quella che ha sostituito il mondo pastorale con le fabbriche-lager degli animali, tramutato le aie in allevamenti di polli in batteria, trasformato l’agricultura di sostentamento, dolce e diffusa, in monocoltura industriale, sottratta alle popolazioni e regalata al dominio delle multinazionali.

La follia che distrugge campagne e produce autostrade su cui far correre merci da lontano a lontano, sovvertendo il ritmo della vita e delle stagioni. Corridoi di prodotti agricoli fuori luogo e fuori tempo, piste insanguinate di carri bestiame, dai quali ti guardano muti gli animali portati ai macelli: li ritroverai, incellofanati e irriconoscibili, sui banchi dei supermarket (tramontati i negozietti di vicinato, sono questi i nuovi templi del consumo); e di quella mostruosità ti ciberai…fino a quando?