Omnia sunt communia

8e6008bb09da49ad4feeca00f8ee98e8_LOmnia sunt communia”: tutto è in comune. Era il grido di lotta delle rivolte contadine contro i principi tedeschi, nei primi anni del sedicesimo secolo e fu il messaggio che, sul patibolo, lasciò agli uomini futuri Thomas Muntzer

Quel messaggio l’ho ritrovato, inciso sul banco a cui sedevo, al Politecnico di Atene, dove, qualche settimana fa, partecipai ad un’assemblea organizzata da Syriza.

Omnia sunt communia: parole che vengono da lontano e hanno più che mai il sapore e la forza della verità; ancora sanno dare voce e concretezza alla lotta presente del popolo Greco contro l’Europa della Troika e del fiscal compakt. Parole contagiose, messaggio di liberazione che risuona col passo degli oppressi in cammino contro le mura d’acciaio delle infinite fortezze del mondo.

Al Politecnico di Atene sono vivi e ancora ci parlano, presso il vecchio ingresso ora sbarrato a segnare l’irriducibilità del conflitto e la necessità della vigilanza antifascista, i segni della resistenza antica e mai tradita: la stele con i nomi di studenti e insegnanti trucidati dai nazi-fascisti nel ’44 e i resti del cancello sfondato dai carri armati dei colonnelli nel ’73.DSCF3708-638x425

Provo già nostalgia per quel popolo impoverito e dignitoso, il quale in queste ore affolla piazza Syntagma a sostegno del suo governo, eletto col preciso mandato di opporsi all’Europa che, col sangue dei poveri, rimpingua i propri forzieri ed i propri arsenali militari. Sono gli stessi volti di donne e uomini che ho incontrato come parte attiva nelle mense popolari, negli ambulatori e consultori gratuiti , nei doposcuola e asili nido dove trovano cibo, assistenza e serenità i bambini dei tanti disoccupati e sfrattati, nelle forme di autogestione con cui si difende collettivamente chi non accetta di scomparire nel buco nero della storia.

Omnia sunt communia: La Grecia non è lontana, è qui e ora, nella precarietà che dilaga, nei diritti elementari negati, nel rifiuto a rassegnarsi, nel conflitto solidale che deve nascere dovunque perché il popolo greco non sia solo, perché il gelo di quest’inverno fuori tempo non possa uccidere il primo fiore di primavera.IMG_28652-1920x1134

Diario da Atene. L’arrivo.

25deskf01-grecia-foto-sabbadini-exarchia-athens-036-704x400 (1)Atene è, di lontano, plaghe argentee di ulivi, profilo di coste e scogli, poi si fa quartieri che si stendono tutti uguali fino all’acropoli, che ancora, da migliaia di anni, splende in alto, incombente sull’agorà.

A percorrerne il centro, la città ha il profilo delle capitali ricostruite dopo la guerra, con larghe strade un po’ anonime, edifici in finto neoclassico, alberghi e negozi di grandi marchi multinazionali.

Ma a far da contrappunto ecco il nucleo urbano più vetusto: vicoli, mercati e bazar, bancarelle di dolciumi speziati, di ciambelle al sesamo, chioschetti dove, per pochi spiccioli, si possono acquistare le merci più svariate, taverne e chiese bizantine, lunghi viali di aranci e mimose, in un profluvio di forme e colori tutto levantino, fragrante di antichi miti. Qui torna a rivivere il giardino delle Esperidi dai grandi frutti d’oro.

Arriviamo con la metropolitana a piazza Syntagma, su cui si apre l’edificio giallo ocra del Parlamento, una costruzione sobria, separata dalla piazza solo da una fila di transenne; nulla a che vedere con la pompa dei nostri palazzi del potere. Davanti all’ingresso gli euzoni in babbucce e gonnellino stanno effettuando il cambio della guardia; il loro sembra più un passo di danza che un incedere armato. Per nulla coreografici sono invece gli agenti che, in assetto antisommossa, presidiano gli angoli della piazza, spalleggiati da mezzi blindati: tutto sommato, la Valle di Susa militarizzata non è poi così lontana.

Tra la varia umanità che riempie piazza Syntagma – frotte di turisti, venditori di biglietti della fortuna, di croccanti e caldarroste, suonatori di organetto, attivisti politici in campagna elettorale – si aggirano grandi, mansueti cani, visibilmente senza padrone e tuttavia, all’apparenza, curati e nutriti; niente del randagismo affamato che caratterizza tante città del Sud, piuttosto la sensazione che si tratti di cani di quartiere, cui provvede la collettività, nel segno di una cultura che viene di lontano. Ripenso all’omerico Argo, più degli uomini generoso e fedele, a Cerbero custode delle regioni della morte, a Diogene, il filosofo che si faceva chiamare “cane”, viveva per strada e “ come un cane, annusava le persone gentili, abbaiava agli avari e mordeva solo i farabutti”.

In fondo alla piazza si sta allestendo un palco per il comizio elettorale conclusivo del KKE, il Partito Comunista Greco. Tanti giovani con bracciate di bandiere inni resistenziali, festoni di fiori per ornare il podio: tutti i colori del rosso messi in campo in un faticosissimo viaggio contro vento, il vento che spira dall’Europa di Maastricht e della Troika.

Ci avviamo verso la sede del Comitato elettorale di Syriza.

La piccola, dignitosa Grecia, si prepara a sfidare, anche attraverso lo strumento delle elezioni nazionali, il Moloc Europeo che ne ha decretato la morte per debiti.

La lotta è dura, ma portata avanti con  vigore e dignità. Chi crede di vedere le piaghe ostentatamente esibite , non troverà niente di tutto questo: la povertà del popolo strozzato dal debito si avverte appena nella fretta triste con cui le persone camminano per strada, a testa bassa, o in certe figure dimesse che emergono dagli angoli bui per chiederti una moneta o semplicemente guardarti, in silenzio: tante sono donne, dignitose nel comportamento e nel vestito, ma emaciate, grigie.

Syryza. Ecco, in un giardino pubblico di aranci e ulivi, il padiglione del comitato elettorale.

Festoso attivismo, abbracci e saluti a chi arriva, tanti, da varie parti d’Europa: non solo italiani, ma spagnoli, portoghesi, francesi, irlandesi, baschi, inglesi.

E’ quasi l’ora del comizio che concluderà la campagna elettorale e in corteo, tra canti, slogan, sventolio multicolore di bandiere, ci si avvia a piazza Omonia, luogo della manifestazione.

La piazza è un tripudio di volti e di colori, tra cui prevale largamente il rosso; alta, spicca la bandiera NO TAV; accanto a noi il giallo degli operatori scolastici e l’arancione delle lavoratrici delle pulizie al ministero dell’economia, categorie colpite duramente dai licenziamenti, protagoniste di una coraggiosa lotta ancora in atto.

Sotto i riflettori, solo sul palco, parla Alexis Tsipras. Decine di migliaia di persone di tutte le età riempiono la piazza e le strade circostanti. Tutti sentono quanto sia alta la posta in gioco.

La vittoria elettorale è a portata di mano, ma, se non sarà presidiata, sostenuta e allargata dalla lotta popolare senza deleghe, sarà una vittoria di Pirro.

E’ solo il popolo che può fare la differenza, contro i diktat terroristici e le catene imposte dalla troika come contro l’interiorizzazione della sconfitta di chi predica moderazione o dilaziona ad un indistinto futuro il momento del conflitto aperto.

Su tutti i muri di Atene si affaccia lo slogan di Syriza: “ E elpida erketai : la speranza è in cammino”. Non deve essere semplicemente la passiva, fiduciosa attesa di un riscatto sognato, ma diventare il passo concreto di una rabbia lucida, generosa, consapevole, che, qui e ora, si faccia azione collettiva di liberazione.

La terra è di tutti. NO EXPO!

mattatoioss (1)Bella, utile e partecipatissima l’assemblea NO Expo, ieri, a Milano, presso l’ex teatro Derby occupato , vista la revoca dell’autorizzazione ad utilizzare uno spazio all’università Statale, la quale, per l’occasione, ha sprangato i battenti per tre giorni

Se qualcuno si illudeva che bastasse la serrata dell’ Università per impedire l’incontro tra le varie realtà di lotta a livello non solo italiano ma internazionale, si è sbagliato di grosso.
Il percorso verso un Primo maggio 2015 di contestazione ad Expo che proprio in quella data prevede provocatoriamente di aprire i battenti,ci riguarda tutti e deve vederci partecipi.
Dai tanti interventi è stato ribadito che Expo è debito, cemento, precarietà, ma non solo: rappresenta soprattutto un progetto di normalizzazione , attraverso la repressione delle lotte, la devastazione degli ecosistemi ambientali e sociali, i veleni reali e metaforici sparsi a piene mani sul presente affinché la guerra all’uomo e alla natura si perpetui e neghi ogni futuro.
Expo è già fin da ora 10 miliardi di € di debito totalmente pubblico, laboratorio di sfruttamento umano con 4000 contratti precari e la prospettiva di 18000 volontari, la devastazione di 1600 ettari di terreno fertile, su cui erano nate tante esperienze di agricoltura e di produzioni ecosostenibili.
In una città dove gli sfratti per morosità incolpevole sono all’ordine del giorno si costruiscono i castelli di una fiera di vanità e bugie per le multinazionali del mercato globale.
Expo è mafie, corruzione, degrado e grandi affari che si allargano con il finanziamento di altri disastri, come l’autostrada BreBeMi, la Pedemontana, la Tangenziale Est Milano.
Esperienze che la Valle conosce bene, in quanto laboratorio precoce di grandi male opere, di delocalizzazione industriale, di Giochi olimpici con relativi degradi ambientali e speculazioni edilizie.
Contro il partito trasversale degli affari che si fa sistema di sfruttamento e di dominio sul mondo e sulla vita , una è la risposta: la resistenza ed il conflitto collettivo, la rabbia e l’amore irriducibile con cui difendere memorie, saperi, elaborazione culturale, i semi del mondo che verrà.