Atene è, di lontano, plaghe argentee di ulivi, profilo di coste e scogli, poi si fa quartieri che si stendono tutti uguali fino all’acropoli, che ancora, da migliaia di anni, splende in alto, incombente sull’agorà.
A percorrerne il centro, la città ha il profilo delle capitali ricostruite dopo la guerra, con larghe strade un po’ anonime, edifici in finto neoclassico, alberghi e negozi di grandi marchi multinazionali.
Ma a far da contrappunto ecco il nucleo urbano più vetusto: vicoli, mercati e bazar, bancarelle di dolciumi speziati, di ciambelle al sesamo, chioschetti dove, per pochi spiccioli, si possono acquistare le merci più svariate, taverne e chiese bizantine, lunghi viali di aranci e mimose, in un profluvio di forme e colori tutto levantino, fragrante di antichi miti. Qui torna a rivivere il giardino delle Esperidi dai grandi frutti d’oro.
Arriviamo con la metropolitana a piazza Syntagma, su cui si apre l’edificio giallo ocra del Parlamento, una costruzione sobria, separata dalla piazza solo da una fila di transenne; nulla a che vedere con la pompa dei nostri palazzi del potere. Davanti all’ingresso gli euzoni in babbucce e gonnellino stanno effettuando il cambio della guardia; il loro sembra più un passo di danza che un incedere armato. Per nulla coreografici sono invece gli agenti che, in assetto antisommossa, presidiano gli angoli della piazza, spalleggiati da mezzi blindati: tutto sommato, la Valle di Susa militarizzata non è poi così lontana.
Tra la varia umanità che riempie piazza Syntagma – frotte di turisti, venditori di biglietti della fortuna, di croccanti e caldarroste, suonatori di organetto, attivisti politici in campagna elettorale – si aggirano grandi, mansueti cani, visibilmente senza padrone e tuttavia, all’apparenza, curati e nutriti; niente del randagismo affamato che caratterizza tante città del Sud, piuttosto la sensazione che si tratti di cani di quartiere, cui provvede la collettività, nel segno di una cultura che viene di lontano. Ripenso all’omerico Argo, più degli uomini generoso e fedele, a Cerbero custode delle regioni della morte, a Diogene, il filosofo che si faceva chiamare “cane”, viveva per strada e “ come un cane, annusava le persone gentili, abbaiava agli avari e mordeva solo i farabutti”.
In fondo alla piazza si sta allestendo un palco per il comizio elettorale conclusivo del KKE, il Partito Comunista Greco. Tanti giovani con bracciate di bandiere inni resistenziali, festoni di fiori per ornare il podio: tutti i colori del rosso messi in campo in un faticosissimo viaggio contro vento, il vento che spira dall’Europa di Maastricht e della Troika.
Ci avviamo verso la sede del Comitato elettorale di Syriza.
La piccola, dignitosa Grecia, si prepara a sfidare, anche attraverso lo strumento delle elezioni nazionali, il Moloc Europeo che ne ha decretato la morte per debiti.
La lotta è dura, ma portata avanti con vigore e dignità. Chi crede di vedere le piaghe ostentatamente esibite , non troverà niente di tutto questo: la povertà del popolo strozzato dal debito si avverte appena nella fretta triste con cui le persone camminano per strada, a testa bassa, o in certe figure dimesse che emergono dagli angoli bui per chiederti una moneta o semplicemente guardarti, in silenzio: tante sono donne, dignitose nel comportamento e nel vestito, ma emaciate, grigie.
Syryza. Ecco, in un giardino pubblico di aranci e ulivi, il padiglione del comitato elettorale.
Festoso attivismo, abbracci e saluti a chi arriva, tanti, da varie parti d’Europa: non solo italiani, ma spagnoli, portoghesi, francesi, irlandesi, baschi, inglesi.
E’ quasi l’ora del comizio che concluderà la campagna elettorale e in corteo, tra canti, slogan, sventolio multicolore di bandiere, ci si avvia a piazza Omonia, luogo della manifestazione.
La piazza è un tripudio di volti e di colori, tra cui prevale largamente il rosso; alta, spicca la bandiera NO TAV; accanto a noi il giallo degli operatori scolastici e l’arancione delle lavoratrici delle pulizie al ministero dell’economia, categorie colpite duramente dai licenziamenti, protagoniste di una coraggiosa lotta ancora in atto.
Sotto i riflettori, solo sul palco, parla Alexis Tsipras. Decine di migliaia di persone di tutte le età riempiono la piazza e le strade circostanti. Tutti sentono quanto sia alta la posta in gioco.
La vittoria elettorale è a portata di mano, ma, se non sarà presidiata, sostenuta e allargata dalla lotta popolare senza deleghe, sarà una vittoria di Pirro.
E’ solo il popolo che può fare la differenza, contro i diktat terroristici e le catene imposte dalla troika come contro l’interiorizzazione della sconfitta di chi predica moderazione o dilaziona ad un indistinto futuro il momento del conflitto aperto.
Su tutti i muri di Atene si affaccia lo slogan di Syriza: “ E elpida erketai : la speranza è in cammino”. Non deve essere semplicemente la passiva, fiduciosa attesa di un riscatto sognato, ma diventare il passo concreto di una rabbia lucida, generosa, consapevole, che, qui e ora, si faccia azione collettiva di liberazione.