Rondò Veneziano

2016030802943808377-1000x600Venezia, infiniti vicoli che si perdono tra campielli e canali; edifici corrosi dai secoli, misteriosi fondaci un tempo regno di artigiani e mercanti, dove pare ancora aleggiare il sentore di spezie e profumi d’oriente.. E’ questa la Venezia che ci accoglie e che percorriamo, in un intreccio di passi e di barche, fino a punta della Dogana

imageL’altra Venezia, quella regale e curiale di piazza San Marco, dove tra poche ore si ritroveranno i governi italiano e francese per siglare l’ennesimo patto di guerra agli uomini e alla natura, ci è interdetta, zona rossa blindata da mezzi militari e forze armate. Tra poco, solo per i loro macabri cerimoniali si accenderanno i candelabri di Palazzo Ducale, risplenderanno gli ori delle sale antiche. Immagino Piazza San Marco deserta, invasa dal grigiore di questa primavera che tarda, imprigionata dal gelo del clima e della storia. Mi figuro i colombi percorrere a piccoli passi uno spazio divenuto immenso, sconcertati da tanto vuoto.

2016030802935308456-1000x600Ma questa Venezia dove si è ritrovato il popolo che lotta, si prepara per via di terra e d’acqua a contrastare il divieto.

Una folla di bandiere, di ombrelli colorati avanza sotto la pioggia verso il Canale della Giudecca; una piccola flotta di barche che innalzano bandiere NO TAV e NO GRANDI NAVI sbuca dal reticolo di canali nel grande braccio di mare su cui domina la mole della Dogana da mar, procedendo leggera verso il bacino di San Marco.

Ma laCdBbE-GW0AA1gWX corsa non dura molto, va a cozzare contro un cordone di motoscafi della polizia. Le piccole imbarcazioni non cedono, cercano di insinuarsi nei varchi, ben presto speronate da poliziotti su moto d’acqua. Arrivano anche gli idranti, una grande macchina da guerra, come una torre natante che spara acqua di mare da innumerevoli cannoni.

Le barche sono investite da getti potenti, ma continuano l’arrembaggio, tra fumogeni colorati: ci sembra di rivivere i momenti più memorabili delle lotte in una Clarea trasposta nel mare di Venezia.

Quanddownload (2)o tutto finisce e donne e uomini resistenti toccano terra fradici ma non domati, sta ormai nascendo nell’immaginario collettivo il mito dei “pirati NO TAV”in lotta contro l’ingiustizia.

A sera, sui pullman del ritorno si intrecciano impressioni e racconti. Qualche anziano ha visto Venezia per la prima volta e per la prima volta è stato in barca; tutti raccontano con orgoglio che si fa già nostalgia la “battaglia navale” cui hanno partecipato.

notteScocca ormai la mezzanotte quando rientriamo in Valle.

Dall’alto ci accoglie la Sacra di San Michele illuminata.

All’orizzonte, tra le montagne sommerse dalla notte, la Clarea ci aspetta.

Un ambulatorio per barricata

282174_183814751762350_1809109278_n-300x92L’ambulatorio sociale autogestito Elinikò di Atene è pieno di pazienti in attesa, il giorno in cui andiamo a consegnare medicinali e prodotti dietetici anallergici per bambini acquistati col ricavato di una raccolta di solidarietà in Valle di Susa.

Sono stati i medici stessi ad indicarci le necessità: latte in polvere particolare per una bambina che soffre di pesanti allergie, vaccini contro tubercolosi e poliomielite (malattie che sembravano sconfitte e che tornano ad affacciarsi in scenari di estrema povertà e denutrizione), farmaci antiepilettici..

Siamo riusciti ad acquistare poco con il migliaio di euro che avevamo a disposizione, anche perché in Grecia il costo delle medicine, grazie alle multinazionali farmaceutiche e agli aumenti di tassazione conseguenti ai memorandum, è enormemente aumentato.

Grazie al lavoro totalmente gratuito di medici, infermieri, farmacisti, psicologi, semplici volontari (molti dei quali sono gli assistiti stessi) per la pulizia e la manutenzione della struttura, gli ambulatori autogestiti – più di sessanta in tutta la Grecia, nati dalle lotte sociali a partire 2010 – riescono a fornire assistenza a chi, senza lavoro, ha perso la copertura mutualistica, ma anche ai tanti che, pur coperti dalla mutua, non riescono a pagare i pesanti ticket sulle cure mediche: ad esempio, per quanto riguarda le medicine, l’assistenza mutualistica rimborsa soltanto il 25% del prezzo convenzionale, il quale è molto inferiore al prezzo reale.

Una realtà come l’Ellinikò fa anche da supporto agli ospedali pubblici, sia per la fornitura di medicinali sia per le consulenze specialistiche che le strutture statali, a causa dei pesanti tagli al personale e per la mancanza di fondi , non riescono più a garantire.

Troviamo dedizione, coraggio e grande gentilezza in questa struttura piccola, ma ordinatissima, il cui cuore è l’ambulatorio pediatrico-ginecologico, messo in piedi grazie al contributo solidale delle donne di tanti paesi del mondo. C’è l’ambulatorio per le cure dentistiche che funge anche da ambulatorio ortopedico; la saletta di cardiologia è condivisa col servizio di ecografia; fornitissima la farmacia dove i volontari sono al lavoro per catalogare i farmaci e prepararne le consegne.

415e5051-86b3-4aa9-884b-7f9afe7d1d69_largeMa questa è soprattutto una barricata contro l’Europa della troika e delle banche: quella stessa Unione europea che, mentre con una mano , attraverso i memorandum, porta guerra ad un popolo dignitoso e fiero, con l’altra conferisce all’ambulatorio dell’Ellinikò un riconoscimento per il particolare valore morale e civile del suo operato. Riconoscimento prontamente e all’unanimità rifiutato dalle donne e dagli uomini dell’ambulatorio che, quotidianamente, di tale guerra assistono le vittime.

La volontà di quanti qui operano e di lottare senza mediazioni, e non certo ai fini di allargare un privato sia pure sociale, ma perché sia ripristinato un servizio pubblico gratuito e dignitoso per tutti .

E’ ormai mezzogiorno quando ce ne andiamo, mentre la fila di chi chiede aiuto non accenna a diminuire: qualcuno viene per cure, altri portano medicine; nulla si butta: anche confezioni già iniziate, se in buono stato e non scadute, vengono riprese e ridistribuite.

Intorno a noi l’inverno sa già di primavera. Si respira aria di mare: è mare quello che si intravede in lontananza, oltre l’immensa distesa di spiazzi e capannoni abbandonati che un tempo costituivano la base aerea americana e l’aeroporto civile . Qui si tennero le olimpiadi del 2004; se ne vedono ancora le strutture recintate e in stato di degrado. L’ambulatorio occupa una piccola dipendenza che era forse una portineria.

at2Più all’interno i terreni sono stati trasformati dalla popolazione in orti urbani contro la crisi; è sorto un uliveto di duemila alberi.

I vecchi governi ne avevano decretato la svendita: seicento ettari di costa per un milione di euro; indubbiamente un lauto affare per la speculazione edilizia. Syriza, col programma di Salonicco che la portò al primo governo, l’aveva invece pensato come un immenso parco pubblico ed archeologico, con il recupero a scopo sociale delle strutture. Ora l’accettazione del memorandum ne comporta la privatizzazione immediata; esisterebbe già l’acquirente, un magnate greco con capitali e immobiliari in Svizzera .

Se la lotta popolare, che continua nonostante il silenzio dei mass media mondiali ed ha progettato l’allargamento di uliveti, frutteti ed orti urbani, dovesse uscire sconfitta, l’ambulatorio sarà sfrattato.

Sostenerlo e farlo vivere significa anche questo: mettere una zeppa in più negli ingranaggi di un potere che vive sulla devastazione dei popoli e della Terra.

Lungo la IMG_5732-300x199strada del ritorno ci accompagna un viale di grandi eucalipti ; il vento improvvisamente freddo si impiglia nei festoni argentei dei loro rami portandone lontano foglie e aromi. Al di la delle reti i piazzali aridi e polverosi dell’estate ora hanno larghe chiazze di verde tenero e piccoli fiori gialli. Anche la natura sembra attendere, sospesa, i giorni che verranno.

Per Davide, per Laura nata in carcere

1432305225-davide-rosciIl carcere di Teramo è un moderno fortino, immane blocco di ferro e cemento arroccato sulla cima di un colle, totalmente estraneo al paesaggio circostante, fatto di dolci declivi coperti di uliveti, di montagne che si ergono in lontananza, bianche di neve.
Vi giungo in una mattina d’autunno che sembra primavera. Sole chiaro e aria profumata, un invito al libero andare. Penso a come si debbano sentire le donne e gli uomini oltre le sbarre.
Sono qui insieme alla delegazione in visita al carcere, a conclusione dell’iniziativa organizzata ieri dall’Osservatorio contro la repressione con un partecipatissimo convegno dal titolo “ Chi devasta e saccheggia è il capitale”, sugli scempi sociali e ambientali, la repressione nei confronti di chi vi si oppone, l’urgenza di un’amnistia sociale che liberi dalle galere quanti scontano il reato di povertà e con loro i compagni che – alcuni da mezzo secolo – pagano duramente l’antagonismo all’ingiustizia e alla schiavitù.
Tra poco vedrò Davide, Davide Rosci, uno dei giovani arrestati in seguito agli scontri avvenuti a Roma il 15 ottobre 2011, che sta scontando una condanna a sei anni per “devastazione e saccheggio”, un reato esistente solo per la legge italiana, triste eredità del codice fascista Rocco.
La visita comincia con le solite formalità, ( il controllo documenti il deposito borse e cellulari, la compilazione dei fogli di generalità). Al di là del pesante cancello c’è silenzio. Alcuni detenuti trasportano i bidoni della spazzatura, una quotidianità che stride con l’eccezionalità del luogo.
In una saletta interna il medico del carcere sta tenendo un corso per il personale di custodia e gli operatori sociali su temi trattati in due volumetti che ci vengono forniti: “ Conoscersi per amarsi. Tutela della salute della donna” e “Salute Mentale dei Soggetti Reclusi”.
Gli agenti che ci accompagnano non nascondono le difficoltà e le carenze: il sovraffollamento endemico, la presenza di carcerati con problemi psichiatrici che il carcere aggrava (nei mesi scorsi si sono verificati tentativi di suicidio), portatori di handicap in una struttura piena di barriere architettoniche, mancanza di spazi per attività lavorative e artigianali che permettano alla persona, insieme all’acquisizione di una professionalità, l’evasione almeno mentale dall’alienazione carceraria. Le attività che i detenuti svolgono a rotazione sono legate esclusivamente alla gestione interna quotidiana: pulizie, cucina, piccola manutenzione. C’è anche un orto per consumo interno, tenuto da reclusi che compiono in carcere gli studi di agraria (si preparano da privatisti, come anche altri, studenti di istituti professionali e universitari di Giurisprudenza). Il pezzo di terra è minuscolo, davvero un’anomalia rispetto al cemento circostante, ma dai teli delle brevi serre debordano fragole meravigliose, un rosso grido di vita in mezzo a quel morto grigiore.
Nei pressi del reparto femminile è stato allestito uno spazio per i colloqui con le famiglie: colori pastello alle pareti, affreschi di animali e pupazzetti eseguiti da un detenuto, mobili chiari, arredamento domestico; all’esterno un piccolo giardino con panchine e giochi per bambini. M è uno spazio disabitato: le donne e i bambini sono altrove, oltre i cancelli che si aprono e si chiudono al nostro passaggio.
Nel reparto femminile grandi pulizie del sabato, pavimenti tirati a specchio, le donne sulle porte delle celle in attesa che si asciughi il lungo corridoio centrale. Vado da loro; mi abbracciano, vogliono sapere il mio nome. Hanno età diverse, un’anziana, tante giovani, alcune giovanissime; qualcuna indossa il grembiule come nella cucina di casa.
Sento crescere il disagio per una visita che, oltre al saluto e all’abbraccio, non lascia loro niente, non porta buone novelle, non apre cancelli né abbatte inferriate, non renderà più leggero il carico dei mesi e degli anni scanditi da giorni vani e notti interminabili, non parla del dopo.11667490_1016343041712067_6940932372048320826_n
Il cuore del reparto femminile è il nido, che ospita con le madri, i bambini fino a tre anni d’età. Sulla porta della cella, in braccio alla giovanissima mamma , trovo Laura, nata lo scorso 14 novembre; dorme serena e ignara, fagottino rosa dai pugnetti serrati, lei così piccola e già privata dell’aria libera e del sole, rinchiusa in stanze tristi dove il cielo si vede solo dalle inferriate. Quale futuro questa società di sepolcri imbiancati riserva a lei, alla sua pallida madre bambina? E come può essere tutto questo un riosarcimento alla “società offesa”?
Saliamo col montacarichi al quinto piano, nel reparto dei comuni. (i piani sottostanti sono riservati ai detenuti per mafia, ai collaboranti, ai condannati per violenze sessuali).
Anche qui le celle sono aperte, il corridoio affollato.
Ci accompagnano alla cella di Davide. Un giovane (il suo coinquilino) sta spazzando vigorosamente con acqua e sapone il pavimento.
Davide arriva dal fondo del corridoio, sorridente sotto la gran barba, ; abbracci e commozione. Chiede dei compagni , del Movimento NO TAV, dell’assemblea tenutasi il giorno precedente. E’ forte, sereno e pieno d’amore, nonostante tutto, come chi affronta la sua strada senza arroganza ma con determinazione, capace , anche nella disumanità del luogo, di provvedere agli altri, ai più deboli e dimenticati. I compagni di detenzione gli si fanno vicini. Al direttore che intanto è sopraggiunto chiede anche per gli altri detenuti la possibilità di attrezzare una palestra, l’accesso ai canali televisivi; lo fa senza deferenze, con tranquilla autorevolezza.
La minuscola cella che divide con un compagno , parla di lui e dei suoi affetti: le foto dei familiari, i disegni dei nipotini, una piccola scansia di libri, il ritratto del Che, i colori del Teramo, una miriade di adesivi che rivendicano la sua militanza antifascista, le lotte sociali e ambientali tra cui spiccano i simboli NO TAV.
Dalla finestrina ferrata si scorgono i terreni che scendono tra casali e coltivi fino al mare, ma Davide ama i monti e, prima del commiato, mi accompagna in fondo al corridoio, alla vetrata da cui si può vedere il GranSasso innevato ed accanto ad esso quello che la leggenda chiama il gigante dormiente, un profilo supino di idolo, ieratico nel suo candido splendore. Mi viene da pensare che della stessa fibra forte e dolce siano plasmati Davide e questi generosi compagni che mi hanno accolta, ospitata, accompagnata.
Dal treno del ritorno, in corsa lungo un mare che ieri era di piombo ed ora accoglie l’ultima luce del tramonto ripenso a loro e scrivo queste note.