A proposito di Fiscal Compact

Fiscal compact, ovvero Patto Europeo di stabilità fiscale. 

Intimidisce già il nome. La prevaricazione comincia dal lessico: nella globalizzazione neoliberista l’Inglese non è più la lingua di Shakespeare, o di Joyce o di Virginia Woolf, ma quella del capitale e della finanza.

Di stabile in questo patto c’è solo lo sfruttamento, programmato, inesorabile, patteggiato tra i governi delle banche e della guerra ai danni dei lavoratori, dei territori, dei popoli.

In base al Fiscal Compact, dal primo gennaio 2015 il deficit italiano dovrà essere ridotto allo 0,5%; il debito pubblico da abbattere entro il 2035 è di mille miliardi di euro.
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Come tanti altri paesi dell’UE, anche il nostro paese stremato, precarizzato, devastato socialmente e ambientalmente, non potrà mai rispettare i vincoli del Fiscal Compact inserito in Costituzione e approvato colpevolmente dalla quasi unanimità del parlamento italiano.

La strada intrapresa porta ad un esito che solo le lotte potranno fermare: la svendita di ciò che ancora resta del patrimonio pubblico, la privatizzazione definitiva dei servizi, la devastazione dei diritti e della solidarietà.

Arriva così all’epilogo il disegno lucido del capitale, avviato col Trattato di Maastricht e portato avanti con i successivi patti su cui si fonda l’Unione Europea: mettere in ginocchio le conquiste economiche, sociali, ambientali, conseguite dalle lotte operaie e studentesche degli anni sessanta e settanta.

Quella di cui soffriamo è una crisi economica indotta, che i governi europei non vogliono certo risolvere, ma aggravare, aumentando per sé profitti e potere; l’utile grimaldello per strozzare la spesa pubblica , annichilire le conquiste sociali, negare il diritto alla qualità del lavoro e della vita, impedire libertà di parola, di controllo dal basso, di iniziativa popolare.

Non a caso, insieme al capestro del fiscal compact, si vara il Jobs Act, (il Patto per il lavoro, altro cinico eufemismo per dire l’annientamento di conquiste operaie e sindacali): l’aumento dell’età pensionabile, accanto alla definitiva precarizzazione del lavoro giovanile; la cancellazione delle tutele contro il licenziamento, accanto all’abbassamento del salario minimo; la sospensione della contrattazione collettiva, a favore della contrattazione individuale; l’esclusione dei sindacati non concertativi dai tavoli delle contrattazioni.

E’ anche una tappa della guerra economica globale, attraverso cui il Nord del Mondo impone alla popolazione Europea un “adeguamento strutturale” ai fini della competizione con le economie emergenti di un Sud da cui si sente insidiato: una competizione tutta rivolta al ribasso, con riduzione dei livelli salariali e svuotamento dei diritti.

Una guerra guerreggiata non solo metaforicamente. In questi giorni i ministri degli esteri europei incontreranno a Bruxelles il governo USA per concordare, accanto ad una più stretta collaborazione economica, il rafforzamento della presenza NATO in Europa orientale e “aiutare l’Ucraina a modernizzare le sue forze militari”.

Una sola è la risposta possibile all’Europa e al mondo del capitale: la lotta per la liberazione dei lavoratori, dei popoli, della natura.

La “Fortezza Europa” non è riformabile né democratizzabile, la si può solo abbattere, con la mobilitazione dal basso e senza deleghe, l’unica davvero capace di distruggere un potere che sembra ineluttabile, ma non lo è.

La risoluzione dell’emergenza sociale; la distribuzione del lavoro esistente; il recupero salariale; la riappropriazione collettiva dei beni e dei servizi pubblici; la nazionalizzazione delle banche e delle imprese strategiche; l’uscita dalla Nato; la salvaguardia concreta della salute e dell’ambiente: obiettivi praticabili, se li affronteremo senza chiusure egoistiche né mediazioni, con la serena forza che ci viene dall’essere nel giusto.

Intanto rifiutiamo da subito, a tutti i livelli, l’applicazione del patto di stabilità: dal continente Europa al più piccolo Comune, rompiamo l’illegittimità di una legge ingiusta con la legittimità della lotta, vincente perché concreta e collettiva.