Da quest’ esperienza una cosa l’ho imparata: che il fine esplicito ed istituzionale del carcere è quello di ridurre all’obbedienza, cieca, contro qualsiasi coscienza critica, ogni autonomia: a questo sono finalizzati lo stravolgimento dei tempi e degli spazi, l’arbitrarietà degli ordini, la sistematica repressione di ogni obiezione, la violenza psicologica e l’umiliazione delle perquisizioni corporali ogni volta che ti muovi, le battiture dei blindi nelle ore più improbabili, le celle buttate all’aria per cercare il nulla assoluto, l’obbligo di domandina scritta al direttore per le cose più ovvie (comprare i gettoni per la lavatrice, ricaricare la scheda telefonica, mandare a casa oggetti o libri….), la chiusura delle celle più volte nella giornata senza un preciso motivo, la prepotenza delle guardiane che negano o concedono a capocchia, il sentir chiamare “Africa”, “india”, “Cina” le tue compagne dalle secondine che ne cancellano volutamente nome e cognome….
Uno degli ultimi interfaccia è stato con quella che ci teneva a sottolineare il suo grado… ” si sente offesa? Da cosa? Parla con me come se fossimo fuori dal carcere…Qui le regole sono diverse….” Le regole sono le loro , rispetto alle quali loro sono tutto e tu non sei niente.
Solo se diventi un utile strumento, poi essere , minimamente, tenuto presente. Nel momento in cui sei pronta a chiamare le guardiane per risolvere un litigio con la tua compagna di cella o non hai problemi a dare informazioni su come si comportano e di che cosa parlano le “attenzionate speciali”, allora sei sulla buona strada,in gara per rientrare nella “società civile”… L’unico carcere accettabile è quello abolito.