La Corte di Strasburgo sancisce ciò che da quattordici anni ripetono a gran voce coloro che vissero Genova 2001 contro il G8 e quanti, da tante parti del mondo, sentono come inferte a se stessi quelle torture e quelle offese.
Quanto siano violente e impunite le cosiddette “forze dell’ordine” là dove- come nel nostro paese- la parola “democrazia” è una foglia di fico per mascherare l’arbitrio di un potere sempre più arrogante e spregiatore di ogni giustizia, diritto e verità, lo sanno bene gli assassinati di polizia e le loro famiglie, lo sperimentano direttamente coloro che si ribellano ai soprusi, sui territori devastati dalle grandi opere, nelle città della fame e degli sfratti, nei luoghi dello sfruttamento e della precarietà.
In Italia mai i Parlamenti hanno varato una legge contro la tortura né esistono segni identificativi sulle divise delle “forze dell’ordine”: il ricatto dei sindacati di polizia e dei sistemi di potere è, da sempre, più forte delle ragioni dei comitati contro la repressione, dei tanti umiliati e offesi che mai hanno trovato ascolto nei palazzi.
La sentenza della Corte europea non restituirà certo ad Haidi, Giuliano ed Elena la primavera infranta di Carlo, né basterà per ridare vita agli assassinati nelle camere di sicurezza o lungo le vie crucis degli arresti, ma sarà almeno una conferma alle denunce inascoltate e un riconoscimento per la tenacia di Arnaldo che da anni, in tante assemblee e manifestazioni, forte della sua semplicità e del suo fazzoletto rosso, ripete una verità scomoda, dando voce anche a coloro che voce non hanno mai avuto o non l’hanno più.
Non è certo un punto di arrivo, ma un punto di partenza perché la lotta collettiva contro l’ingiustizia sociale, per una vita degna di essere vissuta, trovi nuova forza e attiva, irriducibile speranza.