Donna, di mezz’età, cappotto e sciarpa, berretto di feltro. Nulla di particolare rispetto ai rari passanti che percorrevano frettolosamente corso Amalias, il pomeriggio del nostro arrivo ad Atene.
Non so dire perché mi colpì; forse fu la tristezza dello sguardo, forse il fatto che era immobile, come spaesata, presso quella che doveva essere una galleria d’arte ( attraverso la vetrina sguarnita se ne scorgeva l’interno: qualche quadro, corsetti e borse dipinti, terrecotte, la casualità dei traslochi).
Immaginai che stesse aspettando qualcuno che non arrivava; andai oltre.
La rividi la mattina dopo allo stesso posto, appoggiata allo stipite dell’androne su cui si apriva l’ingresso della galleria: ancora ferma e sola, il volto delicato come appassito, grigio. Pensai di lasciarle qualcosa, ma mi bloccò il timore di offenderla, visto che non chiedeva nulla.
Le giornate di Atene scorrevano dense di incontri: la visita ad ambulatori e mense autogestite, l’assemblea al Politecnico, gli appuntamenti presso il comitato elettorale di Syriza, la presenza di solidarietà al presidio delle 595 lavoratrici delle pulizie licenziate dal ministero dell’economia, le soste nel quartiere di Exarchia tra murales, gatti e taverne, il pomeriggio intenso di memorie, vissuto tra l’acropoli e l’antica agorà.
Ripassai da corso Amalias per tornare all’albergo, a notte inoltrata del sabato pre-elettorale. Faceva freddo e pioveva a dirotto.
Nel solito androne, rannicchiata sotto un ombrello, c’era lei. Mi avvicinai piano per non svegliarla. Le lasciai un po’ di spiccioli, allontanandomi in fretta, con un’ invincibile sensazione di colpa davanti a quella povertà dignitosa che nulla chiedeva.
La domenica elettorale trascorse rapidamente. Ancora le strade di Atene, il quartiere più antico, con i suoi edifici ottomani e le sue chiese greco-orientali, le botteghe di gioiellieri e di vasai, i bazar e i fondachi di spezie e profumi.
Ripassai più volte da da corso Amalias, ma non trovai la donna che mi era diventata insieme così sconosciuta e così familiare. Né la rividi a notte inoltrata, tornando all’albergo dopo i risultati elettorali e la grande festa di popolo che accolse Tsipras sul palco improvvisato.
La mattina del lunedì, giorno della partenza, rifeci per l’ultima volta il percorso usuale, verso la metropolitana che, da piazza Syntagma, mi avrebbe portata all’aeroporto.Rividi la galleria d’arte, polverosa e irrimediabilmente chiusa.
Seduta sulla soglia, più che mai misteriosa e insieme familiare, c’era la donna di cui nulla sapevo e nulla saprò, ma che sentii per sempre sorella. Stava leggendo un libretto, su cui scorsi chiose e sottolineature. Quando le misi tra le mani quanto mi restava, mi guardò sorpresa e mi sorrise.
Me ne andai rapidamente, senza voltarmi, sentendo su di me, per lungo tratto, il suo sguardo chiaro e malinconico; e lo risento ora, mentre la ricordo.