Il fuoco si fa focolare, quando è acceso per scaldare una notte di resistenza collettiva, assalita da riflettori e figure armate. E i boschi sono minacce impenetrabili per chi non li conosce e non li ama, ma diventano rifugio sicuro per coloro che li percorrono con passo amico e cuore generoso.
La Clarea, questa notte, torna ad avere la voce che il fragore del cantiere ha cancellato: le sue acque, refrattarie al frastuono delle macchine e all’aggressione dei riflettori, rispondono unicamente alla piccola comunità accampata dalla parte del ponte dove sostano zingari felici, giocano animali, risplendono costellazioni. L’altra parte, cui fa da prima fila un drappello in assetto antisommossa con lacrimogeni, telecamere e mezzi da guerra, sembra davvero lontana anni luce, con i suoi lampeggianti blu, le torri faro, i piazzali intasati di macchinari, la grande fresa che persiste a mordere una frana vicina al punto di crollo.
I grandi massi su cui sostiamo, levigati dalle acque dei millenni, ci offrono per il sonno di questa notte imprevedibili sinuosità, morbide conche.
Le ore passano lente, tra canzoni e giri di genziana e genepy. A un certo punto arrivano un pentolone di pasta mandata dall’altro presidio, dolci e thermos di caffè.
Sopra di noi il cielo cammina, si alza il vento che precede l’alba.
Fa freddo e la bandiera della Palestina, una delle tante che sventolavano nella marcia accanto alle bandiere NO TAV, diventa un provvido mantello, sotto cui rannicchiarmi, presso il fuoco; su di un suo lembo si è accoccolata Tofì, dolce cagnolina che per tutta la sera, irriducibile ai divieti, ha circolato liberamente, dentro e fuori le barriere, con l’allegra libertà della natura.
La mattina sorge radiosa. Si spengono le torri faro.
Saluti di chi parte e di chi arriva.
Immobile sul ponte, sta l’ esistenza alienata , fatta di caschi, scudi, divise, un insieme così assurdo, così fuori luogo nel sole che si fa alto, nel frinire delle cicale che scatta inaspettato e ci riporta alle vacanze estive di lontanissime infanzie.
Lego sullo zaino la bandiera della Palestina, in modo che danzi alla brezza, lungo la via del ritorno. So che il mio gesto non servirà certo ad attenuare l’orrore delle morti bambine, di quell’ingiustizia che dura da settant’anni nel silenzio assordante del mondo “democratico”. Ma è bello immaginare il prodigio di una sintonia misteriosa, l’improvvisa percezione che non si è soli, che la liberazione è possibile e la dolcezza della vita un diritto di tutti, inalienabile, più forte delle superbe certezze di chi si crede padrone della Terra.