Caffè Basaglia, Torino. Vi arriviamo attraverso viali alberati e vecchi quartieri che fiancheggiano la Dora, in questa dolce , tranquilla sera di primavera.
Grazie al grande impegno dei volontari, i locali (che costituirono il primo studio cinematografico torinese) sono diventati un luogo ospitale di sperimentazione sociale e culturale, di cui la solidarietà e l’attenzione alla persona costituiscono il solido fondamento e la ragione profonda.
Ad accompagnaci sono due punti di forza di questa realtà, Daniele, un compagno NO TAV, e Ugo, medico, colui che questa esperienza l’ha voluta e la porta avanti con incrollabile dedizione e amore.
Ci accoglie il salone centrale, insieme bar, ristorante, biblioteca. Le foto alle pareti raccontano luoghi e popoli sparsi ai quattro angoli del mondo; i profumi provenienti dalla cucina parlano di una tavola buona e schietta.
Sala conferenze, laboratori, un’ariosa terrazza panoramica aperta sulla città, tutto è curatissimo, ingentilito da piante e vasi fioriti.
Dall’alto ci sorride il ritratto di Franco Basaglia: a lui è dedicato questo “Caffè oltre confine” , tassello di una lotta di liberazione quotidiana partita da quelle sue esperienze di “antipsichiatria” e che ancora dura, faticosa e generosamente testarda, contro l’emarginazione, l’indifferenza, i muri dell’esclusione.
Muri fisici, invalicabili, che circondavano i “manicomi”, luoghi di contenimento sociale, dove, anziché curare, si praticava la tortura della camicia di forza e dell’elettroshock.. Come ai manicomi di Grugliasco e Collegno, sotto la direzione di un sadico, il primario Giorgio Coda, chiamato “l’elettricista”.
Mi tornano in mente ricordi lontani, di me scolara dodicenne, pendolare: il manicomio femminile di Grugliasco, sorgeva fuori dal centro abitato, lungo la linea ferroviaria. Dai finestrini si potevano cogliere immagini fuggevoli di quei cortili, povere figure raggomitolate in terra, qualcuna in piedi ad alzare le braccia verso il treno, altre addossate ad alberi anch’essi prigionieri.
Poi fiorirono gli anni settanta: Franco Basaglia, l’ospedale di Gorizia, la legge 180 e la chiusura dei manicomi: una legge messa ripetutamente in discussione, osteggiata. Uno strumento che va difeso ed alimentato.
Ma qui il tempo vola.
Dopo il dibattito sull’Altra Europa, lasciamo questo luogo che ci è diventato caro.
Portiamo con noi, come ricordo, il logo: una tazzina di caffè da cui parte un vortice capace di spaccare lo spazio chiuso e di proiettarsi verso l’infinito.
Lo accompagna un messaggio:“Abbiamo costruito questo spazio con l’ambizione e la speranza che sia la voce di chi non ha voce. Ed anche la voce di chi sente le voci”.