Diario di viaggio, Genova

10169364_702101689835389_756162214_nGenova. Per me non è solo una tappa di viaggio, è un luogo del cuore.

 Mentre costeggio la sua marina, rivedo le bandiere NO TAV nel vento di quel luglio 2001, quando la lotta popolare contro l’ingiustizia dei potenti del mondo fu repressa nel sangue innocente di Carlo, si aprirono le carceri e si chiuse ogni margine alle illusioni compromissorie.

 Genova è piazza Alimonda diventata “piazza Carlo Giuliani, ragazzo”, dove tornammo un mese dopo, per abbracciare Haidi e lasciarle la nostra bandiera; sono le tante assemblee NO TAV,  i nuovi legami di affetto stretti sulle barricate della Valle di Susa e consolidati nelle mobilitazioni comuni contro la Gronda e il Terzo Valico; le manifestazioni davanti al carcere per i compagni arrestati; l’addio a don Gallo, in una giornata di dolore  e di pioggia.

Genova è anche uno spaccato dei mali del paese; un territorio messo in ginocchio dal dissesto idrogeologico, che va avanti nel colpevole silenzio di istituzioni asservite al partito trasversale del cemento e del tondino, provocando i disastri alluvionali che ritornano puntualmente ad ogni acquazzone, senza insegnare nulla alle amministrazioni comunali succedutesi negli anni.

Genova è privatizzazione delle risorse e dei servizi pubblici in obbedienza al patto di stabilità; ed è precarizzazione brutale  del lavoro in ossequio al fiscal compact.

Genova , cioè la Val Polcevera; Campomorone, Trasta, Isoverde, borghi antichi tra orti e frutteti in fiore, già segnati dalle rosse ferite dei cantieri TAV in allestimento.

Sul ponte di Isoverde bandiere NO TAV e una mostra fotografica, che narra com’era questo piccolo agglomerato di case e officine a strapiombo sul torrente.

Il terzo Valico prevede qui strade di collegamento per i cantieri. Al fine di allargare la viabilità, è stata espropriata una lunga fila di case. I militanti del piccolo ma combattivo comitato locale spiegano che, per fiaccare la resistenza, il Co.Civ (Consorzio  subappaltante del general contractor TAV) ha usato l’arma delle compensazioni, distribuendo a proprietari ed affittuari centinaia di migliaia di euro, denaro totalmente pubblico. Così, intascato il prezzo della resa, decine di famiglie se ne sono andate, ed ora gli edifici guardano con grandi occhiaie vuote, in attesa delle ruspe che li demoliranno.

Ma è giunto il momento di scendere ad  Arquata Scrivia, per  la manifestazione NO TAV –Terzo Valico. Si forma una carovana di auto che, con bandiere al vento, sotto l’occhio vigile della Digos, parte verso la pianura.  Scendiamo attraverso valli ombrose, lungo strade che fiancheggiano i costoni.

A tratti si aprono radure in fondo a cui si scorge il mare. Poi prevale la macchia mediterranea, e ancora borghi arroccati, ulivi, trine leggere di ciliegi in fiore.

E’ una bellezza struggente, violentata a tratti dai segni del disastro annunciato: qui i ceppi di quello che fu un bosco, ora ridotto a  deserto; più oltre reti e baracche di cantiere; a qualche chilometro uno scavo aperto; dietro una quinta d’alberi, la sagoma sottile di una trivella; cumuli di materiale roccioso (“rocce uranifere” ci dice chi ci accompagna).

Ed ecco l’antica Libarna, un  reticolo di fondamenta portate alla luce dai lavori propedeutici al TAV: scoperta importante, che ha avuto il potere di fermare, per il momento, i cantieri (ma non c’è da farsi troppe illusioni viste le tombe neolitiche distrutte in Clarea, i “sondaggi archeologici” che costituirono la foglia di fico per legittimare la devastazione del parco archeologico di Chiomonte).

Arquata è un tripudio di bandiere, striscioni, facce sorridenti, in marcia verso Radimero.

Tante donne, anziani, giovani, bambini, cani.

E’ un impeto gioioso quello che fa cadere le reti del cantiere.

Mi sembra di tornare indietro nel tempo, ad altre reti che calpestammo a Venaus, l’8 dicembre 2005. Allora i prati erano bianchi di neve, ora le ruspe si fanno strada tra prati in fiore. Ora come allora manganelli in funzione.

 In disparte, i calcinacci di una vecchia casa appena abbattuta dicono tristemente come sarà il futuro se non lo difenderemo.

La storia continua, la lotta cresce.