“Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta”

1619129_1447262978843583_368430592_nRoma, Piazza dell’Indipendenza, traffico del sabato pomeriggio, frotte di turisti che prendono d’assalto le terme di Diocleziano.

La gente gode il sole ai tavolini dei bar, sulle panchine dei giardini.
Ma ecco avanzare, nel caos di veicoli in corsa, due carretti, stracarichi di secchi e indumenti: sono trainati da due donne, anziane, in ciabatte, poveramente vestite. Procedono come in una bolla, lente e affaticate, lo sguardo lontano, di chi si sente invisibile per la vita che lo sfiora e va oltre, indifferente.

E’ l’altra faccia di questo mondo subdolo e violento, fatto di capitali stratosferici e di figure che si rannicchiano sui marciapiedi, senza casa, lavoro, futuro.
Macerie, che l’angelo della storia vorrebbe ricomporre, ma non può, perché “una tempesta lo spinge inesorabilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui 
fino al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta” (W.Benjamin)