Si sale fra i boschi di castagni, sotto un terso cielo invernale; intorno le montagne innevate splendono al sole. L’unico suono è lo scricchiolio delle foglie d’autunno sotto i passi.
Con noi un partigiano ultranovantenne ed un bimbo di poche settimane, ben protetto dal freddo tra le braccia del padre.
Ci accoglie la breve radura protetta dagli alberi sui quali domina un vecchio castagno, che sicuramente conserva, nel segreto del proprio cuore verde, la memoria di quell’otto dicembre 1943 , il giorno del giuramento partigiano della Garda, col quale nacque la prima formazione partigiana della Valle, una delle prime d’Italia.
Di quella giornata esiste una fotografia: giovani schierati in una fila che dovrebbe essere militarescamente ordinata, ma che conserva una spontaneità per nulla militaresca. Se qualcuno indossa ancora i panni della leva interrotta l’8 settembre, la maggior parte porta gli indumenti dei figli della montagna. Qualche cappello alpino, ma i più col passamontagna. C’è qualche fucile da esibire a presentat arm, ma la stragrande maggioranza ha solo la propria giovanile ribellione.
A ricordare quei tempi è Ugo Berga, uno dei ragazzi di allora. Parla per ultimo, dopo gli oratori ufficiali ed il saluto del giovane georgiano giunto in Valsusa seguendo i ricordi di suo nonno partigiano. Poche parole, lontane dalla retorica, capaci di riportare di quei tempi l’utopia, l’urgenza libertaria. Racconta dei compagni trucidati nelle imboscate fasciste o deportati nei lager; parla dei loro sogni adolescenti, ma anche di una Resistenza viva più che mai, della lotta civile che, accanto alla lotta armata, fu forza invincibile e continua ad esserlo, nella nostra Valle come in ogni parte del mondo, là dove esistono ingiustizia e sopraffazione del più forte sul più debole.
Ugo, il più anziano e il più giovane di tutti noi, capace di commuovere e di dare coraggio.
Intorno, le bandiere partigiane si muovono al vento che fischia, ora come allora.